(Rinnovabili.it) – Le trivellazioni in Artico si fermano prima ancora di cominciare sul serio. Lo ha dovuto annunciare la stessa Shell, tra le grida di giubilo degli ambientalisti che per lungo tempo hanno combattuto le velleità del colosso petrolifero di bucare il fondale del mare di Chukchi, circa 200 chilometri al largo della costa nord-occidentale dell’Alaska.
La decisione di abbandonare «per quanto prevedibile in futuro» le operazioni in quel delicato ecosistema, è stata presa dopo che le perforazioni esplorative hanno evidenziato la presenza di petrolio e gas in quantità troppo ridotte per renderne profittevole l’estrazione.
Si tratta di una marcia indietro importante per il gruppo anglo-olandese, che aveva più volte invece sottolineato le grandi prospettive derivanti dallo sfruttamento dei pozzi presenti nella regione. Shell ha speso circa 7 miliardi di dollari nello sviluppo delle operazioni nell’Artico sulla base di studi probabilmente troppo ottimistici. Questa rinuncia potrebbe costarle 4.1 miliardi di dollari. La società è sempre più sotto pressione da parte degli azionisti, preoccupati per il crollo del prezzo dei titoli e degli alti costi di quella che fino ad oggi si è rivelata una futile ricerca.
Un impatto non indifferente lo hanno avuto anche le proteste pubbliche, che hanno messo in crisi la reputazione dell’azienda in questi tre anni. Ben van Beurden, l’amministratore delegato, ha detto di essere preoccupato che la questione artica stia minando i suoi tentativi di influenzare il dibattito intorno al cambiamento climatico. I suoi tentativi di sostenere che Shell avrebbe una strategia di supporto del gas naturale come carburante «di transizione» verso un futuro low carbon sono accolti con scetticismo anche a causa della determinazione finora mostrata per avviare le trivellazioni in Artico.
«Questa è un’enorme vittoria per milioni di persone che si sono opposte ai piani di Shell, e nello stesso momento è un disastro per le altre compagnie petrolifere che hanno interessi in quella regione – ha detto Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace – Shell ha scommesso pesantemente sulle trivellazioni in Artico e oggi ha rimediato una sonora sconfitta, sia in termini di costi che di reputazione pubblica. Quello del colosso anglo-olandese era diventato il progetto petrolifero più controverso al mondo: ora Shell torna a casa a mani vuote».