Servono linee guida internazionali sulla geoingegneria
(Rinnovabili.it) – Quali rischi presenta l’applicazione su larga scala della geoingegneria? Se lo chiedono in molti, mentre l’arsenale di tecniche che va sotto questo termine ombrello sta affascinando sempre più i governi e parte del mondo scientifico. Trovare il sistema per bloccare il riscaldamento globale con tecnologie da fantascienza è una risposta allettante per molti paesi sviluppati, viste le difficoltà di mettere in atto politiche coraggiose per il taglio delle emissioni. Tutti insieme, infatti, gli impegni nazionali presentati alla COP 21 di Parigi nel 2015, non riusciranno a evitare un aumento delle temperature globali pari o inferiore ai 2 °C. Senza maggiori ambizioni nelle politiche climatiche, si rischia di veder salire il termometro oltre i 3 °C, con effetti disastrosi sulle aree più fragili e povere del mondo.
Da qui si è consolidato negli ultimi anni un filone di ricerca che mira a trovare soluzioni per raffreddare il pianeta con sistemi tecnologici visionari. Uno di questi è il solar radiation management (SRM), tecnica di geoingegneria che consiste nel rilasciare microparticelle riflettenti nella stratosfera, così da costruire un immenso scudo capace di respingere la luce del sole. L’idea nasce dall’analisi degli effetti di una eruzione vulcanica, che disperde nubi di zolfo nell’aria in grado di bloccare le radiazioni solari. L’eruzione del Tamboram nel 1815, ha raffreddato la Terra al punto che l’Europa trascorso un anno praticamente senza l’estate, con conseguenti carestie.
Ecco perché la geoingegneria è un tema estremamente delicato, che secondo i critici deve essere discusso pubblicamente. In uno studio pubblicato martedì nella rivista Nature da un gruppo di ricercatori inglesi e statunitensi, sono descritti i potenziali effetti catastrofici che le applicazioni delle tecniche di SRM potrebbero causare.
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In particolare, il gruppo ha esaminato come la dispersione dello zolfo potrebbe influenzare le tempeste nell’Atlantico settentrionale. Hanno costruito modelli che mostrano cosa accadrebbe se nella stratosfera dell’emisfero settentrionale o meridionale fossero iniettate 5 milioni di tonnellate di anidride solforosa l’anno. Si tratta di un gas che di per sé non è riflettente, ma reagisce con le particelle d’acqua nell’aria, prelevando molecole di ossigeno per diventare SO4. Gli impatti di una simile operazione, secondo gli scienziati potrebbero essere differenti a seconda del punto di iniezione. La struttura delle correnti ascensionali permetterebbe, ad esempio di mantenere l’aerosol di solfati confinato nell’emisfero boreale, senza trasferimento di materia in quello australe. In un certo senso, sembrerebbe offrire una certa possibilità di controllo della tecnica: insufflare l’anidride solforosa metterebbe in rotta di collisione la corrente a getto con la regione in cui si forma l’uragano atlantico, riducendo le tempeste solo sull’Oceano Atlantico settentrionale. Un possibile effetto negativo, invece, è la riduzione delle precipitazioni nel semi-arido Sahel, zona a rischio nell’Africa centro-settentrionale.
Al contrario, iniettare gas nell’emisfero meridionale non permette di confinare la nube artificiale in zone predeterminate: le correnti spostano il flusso verso nord, aumentando le tempeste nell’emisfero settentrionale.
Ecco perché, sottolineano i ricercatori, la geoingegneria non è solo una strategia con implicazioni ambientali, ma anche umanitarie. Applicarla unilateralmente potrebbe scatenare conflitti nei paesi in via di sviluppo, privati delle fonti di sussistenza a causa del clima mutato artificialmente. Non è difficile immaginarsi le sperequazioni di un mondo in cui i paesi più ricchi decidono operazioni di ingegneria climatica per il loro tornaconto, gettando in un inferno quelli meno attrezzati.
Da qui, gli autori della ricerca pubblicata su Nature partono per formulare le loro raccomandazioni: servono linee guida internazionali per evitare che vengano approvate tecnologie in grado di nutrire alcune regioni del mondo e devastarne altre. Le singole nazioni non devono poter prendere decisioni unilaterali sul clima che avrebbero ripercussioni globali.