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Sblocca Italia, ecco come vendere il Paese ai signori del petrolio

Sblocca Italia, ecco come vendere il Paese ai signori del petrolio

 

(Rinnovabili.it) – Dopo le numerose modifiche delle Commissioni, la legge di conversione del DL Sblocca Italia ha ottenuto la fiducia dell’Aula di Montecitorio e si appresta ad essere votata in aula il prossimo 30 ottobre. Nonostante le correzioni apportate fino ad ora, i capitoli più critici del provvedimento rimangono aperti. Uno di questi è l’ormai celebre articolo 38 che se mantenuto tale darebbe carta bianca per trasformare il Belpaese in una vera e propria colonia di trivelle. Ecco perche le tre associazioni dell’ambientalismo italiano, Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia, hanno deciso di rinnovare oggi il proprio appello per l’abrogazione di tale norma. La richiesta è che le Regioni facciano sentire la propria voce, impugnando il Dl davanti alla Corte Costituzionale e amplificando la mobilitazione esistente sul territorio.

 

In tutte le regioni interessate dalla mobilitazione di questi giorni (come anche nella Sardegna Nord Occidentale e nel Canale di Sicilia) sono l’ENI e le compagnie straniere – come la Northern Petroleum, la Petroceltic, la Global Petroleum, la Spectrum geo limited, la Geo Service Asia Pacific – a farla da padrone a mare, mentre a terra il dominio dell’ENI è incontrastato nel nostro Paese, grazie a royalties che sono in Italia da 2 a 8 volte più basse che nel resto del mondo e a canoni di concessione ridicoli”, spiegano le tre associazioni in una stampa congiunta. “Condizioni di favore per i petrolieri che consentono di mettere a rischio in Puglia zone costiere protette come Torre Guaceto o aree marine protette come le Tremiti; di porre sotto la servitù petrolifera su ¾ del territorio della Basilicata e di tenere in ostaggio il parco nazionale dell’Appennino lucano Val D’Agri,  e di minacciare l’istituendo parco nazionale della Costa Teatina, con lo scellerato progetto della piattaforma e nave di stoccaggio galleggiante di Ombrina Mare”.

 

La richiesta di abrogazione si basa peraltro su un calcolo preciso che sembrano essere stato però preso in considerazione dal governo: quello dei costi-benefici dell’impatto economico, sociale e ambientale legato allo “sblocca trivelle”. Ed è proprio sul lato dei costi per la comunità nazionale che i conti continuano a non tornare, sottolineano gli ambientalisti, che comunque valutano come la mobilitazione di queste due settimane abbia indotto la Commissione Ambiente della Camera dei deputati a introdurre prime, timide correzioni, a conferma della fondatezza delle tesi sostenute dagli ambientalisti. nel dettaglio ora il testo riconosce la necessità di fare un piano delle aree in cui consentire le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, ricorrendo alla procedura Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) ordinaria e verificando, prima di rilasciare le autorizzazioni, che gli operatori dimostrino, con idonee fideiussioni bancarie e assicurative, la propria capacità tecnica e finanziaria per far fronte alle operazioni di recupero ambientale. “Ma queste prime limitate modifiche introdotte alla Camera – ricordano Greenpeace Italia, Legambiente e WWF – non cambiano la portata negativa delle disposizioni dell’attuale dell’art. 38 del decreto legge n. 133/2014 che il Senato dovrà correggere”.

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