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Sangue e lavoro minorile nelle batterie delle auto elettriche

Sangue e lavoro minorile nelle batterie delle auto elettriche 2

 

(Rinnovabili.it) – Non volevate saperlo, ma quella che chiamiamo sostenibilità ha spesso una faccia oscura. È il caso delle batterie al litio, nuova mecca della tecnologia di consumo, presenti in miliardi di dispositivi, dagli smartphone alle auto elettriche. Un nuovo rapporto di Amnesty International e Afrewatch, pubblicato oggi, rivela che i principali marchi dell’elettronica – tra cui Volkswagen e Daimler – non sono in grado di escludere il cobalto estratto dai bambini nelle miniere in Repubblica democratica del Congo dai loro prodotti.

Vi è qualcosa di raccapricciante nel pensare alle vetrine dei negozi di tecnologia o alla retorica green che circonda la mobilità elettrica e agli enormi buchi nel terreno, dai quali emergono ragazzini vestiti di stracci con la schiena ricurva sotto il peso di un sacco pieno di pietre.

«Milioni di persone godono i benefici delle nuove tecnologie, ma raramente si chiedono come sono prodotte – ha dichiarato Mark Dummett, ricercatore di Amnesty per l’area imprese e diritti umani – È ora che i grandi marchi si prendano una parte delle responsabilità per l’estrazione delle materie prime che compongono i loro prodotti».

 

Sangue e lavoro minorile nelle batterie delle auto elettriche 3Il rapporto documenta come i commercianti acquistino cobalto da zone dove il lavoro minorile è diffuso, per venderlo alla Congo Dongfang Mining (CDM), una controllata del colosso minerario cinese Zhejiang Huayou Cobalt Ltd. In Congo viene estratto il 50% del cobalto mondiale e buona parte del commercio è in mano alla CDM. La Huayou Cobalt ricava il 40% di questo minerale proprio dalle miniere di questo Stato.

Tramite i documenti degli investitori, Amnesty è riuscita a provare che le due imprese processano il cobalto prima di venderlo a tre produttori di componenti per batterie in Cina e Corea del Sud. Il passaggio successivo è la vendita a fornitori di tecnologia e accumulatori a multinazionali del calibro di Apple, Microsoft, Samsung, Sony, Daimler e Volkswagen.

Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che si riforniscono da Huayou Cobalt e dalla controllata CDM, ma solo 4 di esse sono state in grado di confermarlo. Le altre hanno negato o hanno dichiarato di non avere le prove.

 

Sangue e lavoro minorile nelle batterie delle auto elettriche

 

Il direttore esecutivo di Afrewatch, Emmanuel Umpula, ha dichiarato: «È un grande paradosso dell’era digitale che alcune tra le aziende più ricche e innovative del mondo siano in grado di commercializzare dispositivi incredibilmente sofisticati senza essere tenute a mostrare dove si approvvigionano di materie prime per i loro componenti».

Oggi non esiste un regolamento per il mercato del cobalto. Esso non rientra tra i “minerali provenienti da aree di conflitto”, come invece avviene per oro, coltan, stagno e tungsteno.

I minatori che lavorano nelle aree dalle quali la Congo Dongfang Mining acquista il minerale, rischiano incidenti mortali e danni alla salute permanenti. La grande maggioranza lavora senza le protezioni minime: guanti, abiti da lavoro e maschere per proteggersi da malattie polmonari e della pelle. Per una cifra che va dall’uno ai due dollari al giorno, i bambini lavorano fino a 12 ore al giorno nelle miniere, trasportando carichi pesanti. Nel 2014, l’UNICEF stima che circa 40 mila bambini hanno lavorato nelle miniere di tutto il sud della Repubblica democratica del Congo, molte delle quali servono all’industria del cobalto. Tra il settembre 2014 e il dicembre 2015, 80 lavoratori sono morti sotto terra secondo le il rapporto. Ma è una stima al ribasso: numerosi corpi restano sepolti sotto le macerie e gli incidenti vengono insabbiati.

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