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Riserva in Antartide: fallisce il quarto negoziato

Domani si conclude il round negoziale sulla realizzazione di una riserva marina per tutelare la biodiversità in Antartide. Ma l’accordo è lontano

Riserva in Antartide fallisce il quarto negoziato.(Rinnovabili.it) – Doveva essere la riserva marina più grande del mondo, un’oasi di biodiversità in Antartide. Ma il piano per dar vita a questa fascia protetta intorno al circolo polare sta fallendo per la quarta volta. I Paesi che decidono sulla questione, quelli cioè che sfruttano le risorse di quell’area con la pesca, concluderanno domani il meeting di 10 giorni di Hobart, in Australia. La maggior parte sono favorevoli alla proposta della Nuova Zelanda, a cui si sono accodati gli Stati Uniti, che suggerisce di vietare quasi del tutto il calo delle reti in un’area di circa 1.34 milioni di chilometri quadrati (un’area due volte il Texas) nel mare di Ross. Ma dev’esserci l’unanimità, o l’accordo non è raggiunto.

 

È già successo tre volte, e sempre si è concluso con molte parole e nulla di fatto. Ci sono tutti gli ingredienti perché domani finisca come al solito. Lo ha detto anche il capo delegazione americano, Evan Bloom: «Un consenso sarà difficilmente raggiungibile, e questo è molto sgradevole dal nostro punto di vista». Un piccolo numero di Paesi ha fatto opposizione, ma Bloom ha deciso di non dire chi sono finché il negoziato a porte chiuse non si conclude. In passato la Russia – non poteva essere altrimenti – è stato uno dei più accaniti detrattori dell’accordo: oggi, con la crisi ucraina ancora in atto, sembra molto difficile che possa schierarsi a favore di qualsiasi proposta USA. La real politik ha sempre prevaricato l’interesse generale, così come le necessità degli ecosistemi e dell’ambiente.

 

Andrea Kavanagh, direttrice del Southern Ocean protection project della Pew Charitable Trust, ha incitato al boicottaggio: «Servono nuovi approcci. I consumatori e le nazioni devono smettere di acquistare pesce catturato entro i confini proposti della riserva».

C’è anche un’altra proposta, avanzata da Australia, Francia e Unione Europea, che prevede di restringere la zona di divieto. Ma anche questa è destinata a fallire.