Domani si conclude il round negoziale sulla realizzazione di una riserva marina per tutelare la biodiversità in Antartide. Ma l’accordo è lontano
È già successo tre volte, e sempre si è concluso con molte parole e nulla di fatto. Ci sono tutti gli ingredienti perché domani finisca come al solito. Lo ha detto anche il capo delegazione americano, Evan Bloom: «Un consenso sarà difficilmente raggiungibile, e questo è molto sgradevole dal nostro punto di vista». Un piccolo numero di Paesi ha fatto opposizione, ma Bloom ha deciso di non dire chi sono finché il negoziato a porte chiuse non si conclude. In passato la Russia – non poteva essere altrimenti – è stato uno dei più accaniti detrattori dell’accordo: oggi, con la crisi ucraina ancora in atto, sembra molto difficile che possa schierarsi a favore di qualsiasi proposta USA. La real politik ha sempre prevaricato l’interesse generale, così come le necessità degli ecosistemi e dell’ambiente.
Andrea Kavanagh, direttrice del Southern Ocean protection project della Pew Charitable Trust, ha incitato al boicottaggio: «Servono nuovi approcci. I consumatori e le nazioni devono smettere di acquistare pesce catturato entro i confini proposti della riserva».
C’è anche un’altra proposta, avanzata da Australia, Francia e Unione Europea, che prevede di restringere la zona di divieto. Ma anche questa è destinata a fallire.