(Rinnovabili.it) – Qualche decennio, non di più. Poi la barriera corallina statunitense sarà divorata dallo sbiancamento. Proprio come in Australia, infatti, il riscaldamento globale causa un aumento delle temperature marine che provoca una schiarita di questi organismi a seguito dell’espulsione di un’alga fondamentale per il loro nutrimento – quella che dà loro il colore – portandoli dunque, metaforicamente, a “suicidarsi”. In Australia, dove ha sede il reef più famoso del mondo sta succedendo da tempo, ma altri luoghi incantevoli sono messi anche peggio. Si tratta delle Hawaii, isola per la quale gli esperti prevedono la morte di tutto il corallo entro due-tre decenni.
I coralli reagiscono allo stress termico prima “colorandosi” di una pigmentazione accesa, quindi perdendo completamente colore. A questo stadio sono normalmente dichiarati morti. Le parti che sopravvivono hanno bisogno di un periodo di almeno 5 anni per riprendersi completamente. Le barriere coralline occupano meno dell’1% della superficie oceanica globale, ma ospitano circa un quarto di tutte le specie marine, un tripudio di colori e di vita che qui trova cibo e riparo. Inoltre, agiscono come una barriera naturale rallentando l’impatto delle tempeste sulle coste.
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Nel 2014 e nel 2015, le barriere coralline delle Hawaii hanno patito uno sbiancamento esteso sul 90% della superficie. Una nuova ricerca dell’Hawaii Institute of Marine Biology mostra ora che anche una delle aree più protette della costa hawaiana è stata devastata dal fenomeno. La Hanauma Bay Nature Preserve, un’enclave protetta sull’isola Oahu, dove la pesca è vietata, ha il 47% dei suoi coralli sbiancati e quasi il 10% già morti. Hanauma Bay è meta di turisti, con circa 3 mila visitatori al giorno: tuttavia, secondo lo studio, è il riscaldamento globale che agisce sulle temperature marine il responsabile della morìa.
«Ci sono posti nel mondo che hanno perso una quantità enorme di coralli e negli Stati Uniti avremo la stessa prognosi se continuiamo a bruciare combustibili fossili quanto oggi – ha detto Angela Richards Dona, coautrice della ricerca – Dobbiamo di tagliare le nostre emissioni di anidride carbonica, perché i coralli non possono sopportarne gli effetti».