(Rinnovabili.it) – Un divario immenso da colmare, una sfida formidabile. Sono ben lontani dal freddo linguaggio scientifico gli aggettivi usati dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) nel suo report Energy Technology Perspectives uscito stamattina. Eppure, nonostante l’arduo compito, tenere il riscaldamento globale ben al di sotto della soglia limite dei 2°C si può. Il dossier rappresenta il primo tentativo degli analisti IEA di valutare se le proposte approvate alla COP21 siano realistiche. Per fortuna, sembra che l’obiettivo sia tecnicamente raggiungibile, anche se gli impegni per soddisfare uno scenario che veda un aumento di soli +1,75 °C a fine secolo sono drasticamente più ambiziosi di quelli finora messi in campo.
Per restare in linea con l’accordo di Parigi è necessario raggiungere le emissioni nette zero nella seconda metà di questo secolo, come si propone il protocollo. Ma quando, esattamente? Secondo la IEA, per avere un 50% di possibilità di centrare l’obiettivo dei +1,75 °C, l’asticella dev’essere posta al 2060, sebbene questo porterebbe ad uno sforzo senza precedenti della politica. In tempi come questi, nei quali gli Stati Uniti hanno appena lasciato il patto internazionale sul clima, sembra particolarmente arduo.
Nonostante questo, l’Agenzia ha fatto i suoi calcoli, che prevedono un risparmio di CO2 superiore del 34% rispetto alle sue stime precedenti, che tentavano di inquadrare lo scenario +2 °C. Questo ulteriore taglio dovrebbe essere raggiunto tramite l’efficienza energetica nel settore dei trasporti, nell’edilizia e nell’industria. L’importanza della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) aumenterebbe, con uno sforzo del 32% più intenso.
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Nel mix energetico, i combustibili fossili dovrebbero crollare dall’82% del 2014 al 26% del 2060, con drastici tagli a carbone (-78%), petrolio (-64%) e gas naturale (-47%). Nel solo settore elettrico, la produzione a basso tenore di carbonio dovrebbe soddisfare il 96% della domanda. Molte centrali elettriche a combustibili fossili dovranno chiudere bottega prima di finire il ciclo di vita, causando mancati guadagni agli investitori. In totale, la serrata coinvolgerebbe 1.715 GW, di cui 1.330 a carbone, per un totale di 3,7 trilioni di dollari. In pratica, come se venissero chiusi i parchi di Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania e Polonia. Se però le emissioni del settore energetico dovessero rimanere sostanzialmente invariate da qui al 2025, le perdite economiche legate alla chiusura degli impianti raggiungerebbero gli 8,3 trilioni di dollari, richiedendo l’abbandono di 2.350 GW di carbone e gas. La potenza installata a carbone nel mondo, per fare un paragone, è di 1.965.
Al processo, spiega la IEA, potrebbero contribuire le tecnologie per le emissioni negative, come le bioenergie (BECCS) o la cattura del carbonio (CCS), cui gli analisti affidano il sequestro di 5 gigatonnellate di CO2 (GtCO2) all’anno nel 2060. Tuttavia, molti osservatori sono scettici su tali soluzioni, vuoi per l’insostenibilità delle bioenergie, vuoi per la lentezza degli sviluppi nel settore CCS.
Parte del rapporto è dedicata ai progressi nel campo delle rinnovabili, per misurare quali tecnologie siano in linea con uno scenario compatibile con l’accordo sul clima. Quest’anno, la IEA sostiene che veicoli elettrici, accumulo energetico, fotovoltaico ed eolico siano sulla buona strada. Cosa che fino allo scorso dossier, sembrava impossibile. Come sempre, tutto è nelle mani della politica: ai leader globali spetta dare l’accelerazione necessaria per centrare obiettivi costosi, complessi e ancora troppo distanti da noi. Ma necessari alla sopravvivenza dell’essere umano sulla terra.