(Rinnovabili.it) – Niente speculazioni sulle foreste se vogliamo mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 °C. Sebbene il quinto rapporto dell’IPCC consideri la bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BEECS) una tecnologia chiave per la riduzione della CO2 in atmosfera, restano troppi rischi e punti interrogativi sul suo sviluppo. Basterebbe invece pensare al ripristino degli ecosistemi e ad una limitata riforestazione per ottenere grandi risultati senza intaccare la qualità dell’ambiente. Le redini del processo potrebbero essere lasciate ai popoli indigeni appartenenti alle comunità locali che vivono in sinergia con le foreste. Queste genti hanno cura dell’ecosistema dal quale dipendono, lo proteggono e lo potrebbero ripristinare.
I suggerimenti sono contenuti in un dossier di Friends of the Earth Norvegia, Fern e Rainforest Action Network, prodotto per i negoziatori della COP 21. Il tema delle foreste è un aspetto importante del negoziato, perché è anche attraverso la loro capacità di cattura dell’anidride carbonica che passano le soluzioni al riscaldamento globale. Tuttavia, da una parte la deforestazione, dall’altra la speculazione finanziaria consentita dai meccanismi di calcolo delle emissioni assorbite dalle biomasse, possono peggiorare la situazione attuale.
Le tecnologie BEECS (Bio-energy with carbon capture and storage) sono una branca della geoingegneria, insieme di metodi per la manipolazione dell’ambiente e del clima che si propongono come soluzione innovativa per il problema delle emissioni climalteranti. Fortemente promosse da alcuni istituti scientifici e dall’industria, possono diventare un comodo appoggio per scaricare sulla scienza le responsabilità politiche dei leader globali. Il problema è che gli effetti negativi di queste tecniche (ancora in fase di sperimentazione), evidenziati da importanti rapporti internazionali, potrebbero superare di gran lunga i benefici.
Nel caso del BEECS, si tratterebbe di bruciare biomasse per produrre elettricità e poi catturare il carbonio emesso per iniettarlo in serbatoi sotterranei. La piantumazione di nuovi alberi e le varie colture consentirebbe di assorbire la CO2 supplementare, rendendo tale tecnologia “negative emission”. Ma questo è tutto da dimostrare: spesso dietro l’industria della biomassa si nasconde una deforestazione selvaggia, seguita dalla semina di colture che poco contribuiscono – rispetto agli alberi secolari – al sequestro della CO2. Questa pratica non solo aumenta le emissioni totali invece di diminuirle, ma sottrae terreni all’agricoltura, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare a favore di un business per pochi.