L'aumento delle temperature fa sciogliere il permafrost e crea nuovi pascoli per le renne in Siberia, ma risveglia anche il batterio del carbonchio, infezione letale trasmissibile all'uomo
(Rinnovabili.it) – Le indiscrezioni delle scorse settimane sono state confermate: in Russia saranno abbattute 100mila renne per arginare l’epidemia di carbonchio che ha colpito anche alcuni abitanti. Una mattanza di proporzioni colossali che ha ricevuto ieri il via libera da Dmitry Kobylkin, il governatore della regione di Yamal-Nenets, in Siberia. E sul banco degli imputati figura, prima di tutto, il riscaldamento globale.
Per comprendere il collegamento tra le alterazioni del clima e il proliferare del carbonchio bisogna ricostruire i vari passaggi di questa inquietante vicenda, che a prima vista potrebbe assomigliare alla trama di un film post-apocalittico made in Hollywood. I primi casi di infezione nella regione siberiana sono stati registrati lo scorso luglio, nel giro di due mesi sono morte almeno 2.500 renne ed è stato contagiato anche un ragazzino di 12 anni, in seguito deceduto.
Gli scienziati che hanno studiato il caso non hanno dubbi sulla causa scatenante. Si tratta del riscaldamento globale, che si fa sentire anche a latitudini così prossime al circolo polare artico. Infatti l’aumento delle temperature sta facendo sciogliere il permafrost, lo strato di terreno perennemente gelato che caratterizza gran parte della Siberia. Così è ritornato in attività anche il Bacillus antracis (conosciuto anche come antrace), finora “dormiente”, che ha colpito la popolazione di renne della zona.
Il carbonchio viene trasmesso attraverso cibo o acqua contaminata. Secondo la ricostruzione delle autorità, a causa della sovrappopolazione, diversi allevatori di renne di recente sono stati costretti a portare i propri animali in zone a rischio infezione, resi disponibili dall’aumento delle temperature. Ma in quelle aree, dove lo scioglimento del permafrost rende possibile trovare cibo per gli animali, si è anche risvegliato il carbonchio.
Il provvedimento delle autorità prevede che lo Stato abbatta almeno 100mila capi. Non si tratta però di animali già infetti: la misura serve invece a limitare la sovrappopolazione, permettendo agli allevatori di restare nei pascoli tradizionali, lontano dai focolai dell’epidemia. Lo Stato acquisterà e tratterà poi la carne di renna, vendendola sul mercato. La produzione annuale dovrebbe aumentare di 500 t di carne, arrivando a quota 800.
Tuttavia, diversi esperti sostengono che così non si risolverà il problema. Attualmente la regione di Yamal-Nenets ospita 750mila renne, ma i pascoli possono sostentare soltanto 390mila capi. Perciò dovrebbero essere abbattuti se non tutti gli animali “in eccesso”, almeno 200mila renne, il doppio di quanto previsto. Questa stima però non tiene conto dell’andamento galoppante del riscaldamento globale. Le temperature record che ormai da mesi vengono registrate nell’intera area della Siberia lasciano immaginare che nuovi focolai di carbonchio possano svilupparsi a breve, rendendo inutile qualsiasi misura-tampone.