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Una Banca centrale europea del carbonio per rendere efficace la rimozione di CO2

Rimozione CO2: serve una Banca centrale europea del carbonio

Foto di Matthias Heyde su Unsplash

Rimozione CO2: serve una Banca centrale europea del carbonio
Foto di Matthias Heyde su Unsplash

Lo studio del PIK è pubblicato su FinanzArchiv

(Rinnovabili.it) – L’UE vuole puntare molto sulla rimozione della CO2 per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Ma per far sì che i carbon removal siano reali e non un modo per ritardare la transizione, serve una banca centrale europea del carbonio. Bruxelles deve guardare soprattutto alla dimensione economica della cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica per evitare brutte sorprese in futuro. Lo sostiene uno studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) pubblicato su FinanzArchiv.  

Il 6 febbraio, la Commissione europea ha fissato (provvisoriamente) il nuovo obiettivo intermedio al 2040 di riduzione delle emissioni. Entro 16 anni, l’UE dovrà abbattere i suoi gas serra del 90%. Si tratta però di una percentuale basata su emissioni nette. Circa l’8% dei gas serra da ridurre, infatti, secondo l’esecutivo UE dovranno essere affrontati tramite la rimozione di carbonio.

La strategia per la CCS industriale, pubblicata lo stesso giorno, parla chiaro. Entro il 2030, la capacità di cattura e stoccaggio della CO2 in UE deve raggiungere almeno 50 milioni di tonnellate l’anno (Mtpa). I volumi previsti arrivano a 280 Mtpa nel 2040 per salire a 450 Mtpa entro metà secolo.

Secondo il PIK, questo obiettivo è realizzabile e soprattutto efficace solo se si dà la dovuta importanza a due fattori: servono leggi adatte a un’impresa “titanica” come questa, e bisogna esser certi che la CO2 catturata resti stoccata per molto tempo. Oggi molti crediti rilasciati da progetti di carbon removal sono considerati carta straccia proprio perché non assicurano l’efficacia della rimozione nel tempo. Usare la leva economica per spingere gli attori industriali a muoversi nella direzione giusta è un passaggio inevitabile, conclude quindi il PIK.

“L’eliminazione del carbonio come secondo pilastro della protezione del clima ci costerà molto denaro nella seconda metà del secolo – le stime vanno dallo 0,3 al 3% della produzione economica globale”, afferma Ottmar Edenhofer, direttore del PIK e co-autore dello studio. La chiave? Collegare i sussidi europei alla permanenza dell’estrazione di CO2.

Cosa serve all’UE per fare centro con la rimozione della CO2?

Proprio come i regolatori, attraverso il sistema del mercato del carbonio (ETS), rendono più costose le emissioni di CO2 per limitarne le conseguenze negative, “dovrebbero sovvenzionare” la rimozione di CO2. “Come principio base per la minimizzazione dei costi, il prezzo per rimuovere e immagazzinare permanentemente una tonnellata di CO2 dovrebbe essere uguale al prezzo per l’emissione di una tonnellata di CO2 nell’atmosfera”, spiega Max Franks, ricercatore del PIK e coautore dello studio.

Ma tutto ciò va fatto mettendo dei paletti molto chiari. Che colleghino l’entità dei sussidi al tempo per cui la tecnica di rimozione del carbonio assicura che la CO2 resti intrappolata. In questo modo le opzioni che oggi sembrano apparentemente più economiche, come il rimboschimento o il sequestro del carbonio nei terreni agricoli, possono quindi diventare decisamente meno attraenti rispetto, ad esempio, ai sistemi di filtraggio dell’aria con stoccaggio sotterraneo permanente”, cioè le tecnologie CDR (carbon dioxide removal).

Quattro le leve chiave sottolineate dallo studio del PIK: il controllo quantitativo delle emissioni nette, la regolamentazione della responsabilità per le rimozioni non permanenti, il sostegno finanziario per l’espansione e l’innovazione della rimozione del carbonio e la certificazione dei fornitori. Per i primi due compiti, lo studio propone una Banca centrale europea del carbonio, più due ulteriori autorità per il finanziamento e il controllo della qualità.

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