Parlando al Vertice umanitario mondiale di Istanbul, il premier Enele Sopoaga ha esortato l'ONU ad adottare una risoluzione che crei finalmente una protezione legale per i migranti climatici
(Rinnovabili.it) – Riconoscere lo status giuridico dei rifugiati climatici: questo quanto chiede oggi il primo ministro di Tuvalu, uno dei territori più sensibili al mondo agli effetti del climate change. Parlando al primo Vertice umanitario mondiale di Istanbul, il premier Enele Sopoaga ha esortato le Nazioni Unite ad adottare una risoluzione che crei finalmente una protezione legale per le persone sfollate dagli stravolgimenti climatici.
Di fronte all’impatto delle catastrofi ambientali che ogni anno colpiscono la Terra, non sempre è possibile adattarsi. Le pressioni del clima, come l’aumento della siccità e la crescita del livello del mare, hanno costretto milioni di donne, uomini e bambini a fuggire dai propri Paesi. Per quelli che oggi vengono chiamati in maniera confusa “profughi climatici” o “migranti ambientali” non vi è però alcun riconoscimento legale. Nonostante quasi tutta la comunità scientifica internazionale sia d’accordo sul nesso esistente tra cambiamenti climatici e spostamenti forzate, non si riesce ad arrivare una definizione comunemente accettata di questa categoria di migranti.
Fino ad oggi i negoziati internazionali dell’UNFCCC hanno affrontato la questione con leggerezza. Il problema delle migrazione climatica ha ricevuto solo una menzione durante la COP16 sui cambiamenti climatici del 2010: nel testo dell’Accordo di Cancún è stato aggiunto quasi all’ultimo un vago invito a prendere “misure volte a migliorare la comprensione, il coordinamento e la cooperazione in materia di spostamenti di popolazioni indotti da cambiamento“.
L’assenza di una definizione univoca comporta, oltre alla totale mancanza di protezione giuridica, anche sistemi di qualificazione e quantificazione estremamente variabili. “Secondo il diritto internazionale attuale, non abbiamo un quadro su cui lavorare”, ha aggiunto Sopoaga. Le iniziative più recenti, adottate a livello internazionale per affrontare la questione, sono ‘non vincolanti’ e del tutto incapaci a circoscrivere un problema dai confini sempre più ampi. “Abbiamo, in questo momento, tra le mani una situazione reale – 62.000 persone ogni giorno sono sfollate dagli impatti del cambiamento climatico”.
Ma aspettare anni di negoziati e discussioni così come è avvenuto in passato per l’accordo mondiale sul clima, per molti non è possibile, spiega Sopoaga: “Pensate a una situazione in cui Tuvaluani debbano essere trasferiti perché non è rimasta più nessuna terra da abitare”, ha commentato il primo ministro ricordando che per il suo Stato l’emergenza ambientale è già iniziata. A Tuvalu il punto più alto raggiunge i cinque metri sul livello del mare e negli ultimi anni l’oceano è avanzato di circa tre metri sulla costa. Secondo gli esperti, tra meno di 50 anni la piccola nazione insulare polinesiana potrebbe essere solo un ricordo.