(Rinnovabili.it) – La riforma del servizio idrico integrato è attualmente nelle mani della Commissione ambiente alla Camera. Sul testo adottato (C. 52 Daga) lo scorso 30 gennaio 2019, i parlamentari hanno tempo fino all’8 febbraio 2019 per presentare emendamenti, prima della trasmissione al Comitato per la legislazione. Ma in questi ultimi giorni le Regioni ricordano ancora una volta la loro contrarietà all’attuale formulazione della proposta di legge. “Come abbiamo detto in audizione alla Camera il 10 gennaio e come è scritto a chiare lettere nel documento approvato all’unanimità dalla Conferenza delle Regioni esistono almeno tre ragioni per rivedere l’impianto della proposta, a meno che non si voglia dar luogo ad un lungo ed estenuante contenzioso Stato-Regioni”. A farsi portavoce delle istanze regionali è Donatella Spano, Assessore della Regione Sardegna e coordinatrice della commissione Ambiente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
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In realtà le principali criticità del testo sotto esame sono le stesse che le Regioni avevano evidenziato in una vecchia proposta di legge, sempre a prima firma dell’onorevole Daga e avente come oggetto “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico, nonché delega al Governo per l’adozione di tributi destinati al suo finanziamento”. “Indipendentemente dalla diversa formulazione del titolo, a distanza di più di quattro anni, le finalità delle due proposte di legge non si discostano significativamente l’una dall’altra, e la proposta C52, attualmente in esame, presenta, sostanzialmente, le stesse criticità evidenziate nel richiamato parere del 2015 che, pertanto, viene, nella sua generalità, riconfermato”, si legge nel parere regionale.
Cosa non funziona nella riforma del Servizio idrico integrato?
Il primo motivo – a detta dei rappresentanti in Conferenza – è che la proposta non disciplina il necessario coordinamento fra la nuova disciplina e la normativa vigente, con il rischio di trovarsi di fronte ad una disciplina di settore “tutta da interpretare e sconnessa”.
La seconda ragione del no, prosegue Spano – “sta nell’esigenza di dipanare diversi dubbi di legittimità costituzionale. La gestione del demanio idrico è una competenza delle Regioni per cui prevedere che il rilascio o il rinnovo di concessioni di prelievo di acque sia disposto dall’Autorità di distretto non solo appare in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. 112/1998, ma renderebbe assai problematico il sistema del rilascio delle concessioni di derivazione”. Ferma opposizione anche nel considerare il servizio idrico integrato come ‘servizio pubblico locale di interesse generale non destinato ad essere collocato sul mercato in regime di concorrenza’ piuttosto che un ‘servizio pubblico locale di rilevanza economica’, come stabilito dalla Corte costituzionale.
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“Terza ed ultima ragione: la proposta modifica pianificazione e regolazione del servizio idrico integrato riportandoci indietro nel tempo, a prima della Legge Galli – ha sottolineato l’assessore della Regione Sardegna. – Vale la pena ricordare che proprio in attuazione di quella legge tutte le regioni hanno disciplinato la materia istituendo le Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale, i vecchi ATO, adesso Enti di governo d’Ambito (EgATO), le quali hanno provveduto ad affidare la gestione e l’erogazione dei Servizi di Acquedotto, Fognatura e Depurazione ad Aziende (peraltro prevalentemente pubbliche) dotate di adeguata capacità tecnico-organizzativa e gestionale”.