Come già per Chernobyl, anche per Fukushima, si è assistito a uno scoraggiante spettacolo di opacità, scarsa trasparenza nella comunicazione
Tant’è. Ciò che dispiace è che, nello stesso momento, sia di fatto calato il silenzio su tutta la questione energetica italiana e che neanche il sopraggiungere della fase più acuta della nostra crisi economico-finanziaria ci abbia spinto a riaprire il dossier: come se la ‘nuova’ Libia e la vecchia Russia bastassero nella sostanza a esaurire l’argomento.
C’è poi un altro aspetto, oltre alla solidarietà per le sofferenze, i danni materiali, le difficoltà di tutti i tipi, subiti a causa del triplice disastro dei giapponesi, che vale la pena mettere in rilievo tra i sentimenti vissuti un anno fa dagli italiani. Come già per Chernobyl, anche per Fukushima, si è assistito – nel marzo del 2011 – a uno scoraggiante spettacolo di opacità, scarsa trasparenza nella comunicazione, annunci ottimistici e puntuali retromarce sull’entità dei danni, le conseguenze sull’uomo e sull’ambiente, mentre i reattori della centrale venivano ritratti dalle tv di tutto il mondo in evidente stato di straordinario e pericolosissimo allerta. Questa reticenza nell’informazione, questa puntuale mancanza di precisione e di ammissione della gravità dei danni subìti, non fa altro che rendere la questione del nucleare anche come la testimonianza di un’impossibilità oggettiva di verifica dell’informazione ufficiale. Un aspetto che, inevitabilmente, contribuisce in maniera determinante al rifiuto, ormai inamovibile nel nostro paese, di qualunque riferimento all’energia nucleare. Senza che, purtroppo, tutto questo spinga a una maggiore consapevolezza e voglia di informazione sul grande, ineludibile problema delle fonti rinnovabili, l’alternativa cioè, questione con la quale tutti saremo, prima o poi, chiamati a confrontarci.