Quasi ultima nella classifica sul recupero dei rifiuti urbani e ancora lontana dalle performance dei Paesi che registrano le prestazioni migliori: in Italia quasi la metà della spazzatura finisce ancora in discarica e solo un terzo di quella prodotta viene recuperata. Secondo il rapporto “L’Italia del riciclo 2012”, presentato ieri da Fondazione Sviluppo Sostenibile e FISE-Unire, l’associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, solo il 33% dei nostri rifiuti viene recuperato, mentre a finire in discarica sono ogni anno circa 15 milioni di tonnellate di rifiuti (il 49% di quelli prodotti), con uno stacco di venti punti percentuali rispetto a quanto accade nel resto d’Europa (30%).
Ben lontani dalle performance di Austria, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca, che recuperano rispettivamente il 70%, il 62%, il 62%, il 61%, il 50% e il 42% dei rifiuti urbani, il nostro Paese, pur avendo alcuni fiori all’occhiello (come Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, che smaltisce in discarica rispettivamente l’8%, il 15%, il 19%, il 28% e il 29% dei rifiuti) deve invece fare i conti con 10 regioni “indisciplinate” che smaltiscono in discarica oltre il 60% dei rifiuti prodotti: Liguria, Umbria, Marche, Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia, che registra un picco record pari al 93%. Più o meno invariata, invece, la situazione del riciclo degli imballaggi rispetto ai dati del 2010, con 7,5 milioni di tonnellate prodotte e riciclate al 64% e performance diverse nei vari settori.
Si tratta di una situazione che di sicuro ha ben poco di virtuoso e che, secondo il Presidente della Fondazione, Edo Ronchi, è dovuta a una bassa tassazione dello smaltimento in discarica: 15 euro a tonnellata richiesti in Italia, contro i 40 previsti in Germania. Oltretutto, questo poco virtuosismo ha portato il Sistema Paese a sostenere dei costi notevoli legati alla cattiva gestione del rifiuto: 102 le discariche presenti sul territorio non ancora chiuse né rese conformi alla Direttiva 1999/31/CE, per le quali l’Italia è stata messa in mora dalla Commissione Europea, che l’ha successivamente deferita alla Corte di Giustizia per il mancato rispetto di quanto previsto dalla normativa, chiedendo il pagamento di una multa di 56 milioni di euro.
Eppure, nonostante la credenza diffusa che con la differenziata aumentino i costi di gestione dei rifiuti, imparando a differenziare meglio c’è ragion di credere che alla fine il risparmio sia garantito. Comparando i costi (in euro per abitante/anno e in centesimi di euro al chilogrammo) della gestione dei rifiuti nelle diverse regioni italiane con diversi livelli di raccolta differenziata, il Rapporto ha messo in evidenza che nei territori in cui si differenzia di più i costi, sia per abitante/anno sia per chilogrammo, sono inferiori a quelli sostenuti dalle Regioni in cui si differenzia di meno.
Che il riciclo, così come previsto dalla Direttiva europea 98/2008 CE, sia dunque una priorità da perseguire anche ricorrendo agli incentivi e rappresenti un settore strategico per lo sviluppo della green economy, non ci sono dubbi. Ma per gli addetti al settore, così come precisato dal Presidente di Unire, Corrado Scapino, è necessario che le strategie di crescita industriale nazionale si coniughino con politiche di sviluppo sostenibile che prevedano l’impegno e la partecipazione di tutti i soggetti economici della filiera, dai produttori ai riciclatori. Per Scapino, infatti, sarebbe necessario attivare “nuove leve per stimolare il mercato dei materiali riciclati, evitando politiche ambientali miopi e strumentali che rischierebbero solo di frenare ulteriormente lo sviluppo dell’industria del recupero”.