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Le rotte mondiali (e italiane) dei rifiuti in plastica

Dopo la chiusura delle frontiere cinesi, il riciclo mondiale ha iniziato mostrare tutte le sue falle. Greenpeace ha seguito il traffico dei rifiuti plastici, lungo le vie legali e quelle illegali

rifiuti in plastica
© Greenpeace

 

C’è anche l’Italia tra i grandi esportatori di rifiuti in plastica

(Rinnovabili.it) – Il commercio dei beni a fine vita ricorda l’Idra, il mostro della mitologia greca: una volta tagliata una testa (o, in questo caso, un flusso), ne spuntano altre due. È esattamente quello che sta succedendo ai rifiuti in plastica dopo la chiusura delle frontiere cinesi alla spazzatura occidentale, all’inizio del 2018. Molto rapidamente altri mercati, soprattutto nel sud est asiatico, si sono proposti per compensare il vuoto lasciato dalla Repubblica popolare. Le prime ad aprire le proprie discariche e centri di stoccaggio sono state Malesia, Vietnam e Thailandia ma i giganteschi volumi in entrata hanno spinto i rispettivi governi a imporre delle restrizioni. I flussi sono stati quindi dirottati in India, Taiwan, Corea del Sud, Turchia e Indonesia senza tuttavia riuscire a compensare i volumi trattati dal mercato cinese.

 

A tracciare le nuove rotte mondiali dei rifiuti in plastica è oggi Greenpeace con un nuovo report dedicato, un’analisi dei dati di import-export dai principali 21 Paesi esportatori e degli altrettanti importatori. Il quadro complessivo che ne esce fuori è quello di un settore in crisi. Da una parte, infatti abbiamo Nazioni che accolgono la spazzatura estera incapaci di gestire i volumi in entrata e spesso e volentieri dotati di norme ambientali poco rigorose: le conseguenze più probabili sono roghi e pile di rifiuti che rischiano di avvelenare il territorio. Dall’altra abbiamo un’Europa e un’America del Nord che si sono trovate da un giorno all’altro a gestire un’eccedenza di tali materiali (leggi anche Cumuli di plastica nell’UE dopo il no della Cina ai rifiuti esteri). E anche in questo caso a subirne le conseguenze peggiori son le comunità più fragili e meno abbienti.

“Nel 2018 la Cina ha cambiato politiche sull’import di rifiuti in plastica e ciò ha svelato la crisi del sistema di riciclo globale”, spiega Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Riciclare non è la soluzione, sono necessari interventi che riducano subito la produzione, soprattutto per quella frazione di plastica spesso inutile e superflua rappresentata dall’usa e getta che oggi costituisce il 40 per cento della produzione globale di plastica”.

 

E l’Italia? Nonostante il Belpaese sia una delle realtà europea più avanti quando si parla di circular economy, rientra appieno nel report. Lo scorso anno ci si siamo collocati all’undicesimo posto tra gli esportatori di rifiuti in plastica in tutto il mondo, con un quantitativo di poco inferiore alle 200 mila tonnellate. La spazzatura finisce in nazioni europee come Austria, Germania, Spagna, Slovenia e Romania, ma anche Malesia, Turchia, Vietnam, Thailandia e Yemen, Paesi non dotati di un sistema di recupero e riciclo efficiente. Il problema – scrive Greenpeace – nasce dal fatto che in Italia si premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata. Spiega Claudia Salvestrini, direttrice di Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene “Possiamo anche raggiungere il 90 per cento di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta differenziata posso avere più del 30 per cento di materiali eterogenei di plastica da scartare”.

 

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