Una “crescente repressione” dei giovani attivisti per i diritti umani, inclusi quelli che si mobilitano per il clima, diffusa in tutto il mondo. Attraverso leggi più restrittive e nuovi quadri sanzionatori che colpiscono le proteste pacifiche, soprattutto se – come nel caso di quelle per la crisi climatica – adottano tattiche di disobbedienza civile. Il rapporto della relatrice speciale ONU Mary Lowler
Chi si batte per i diritti umani rischia di essere “criminalizzato per il suo attivismo”
(Rinnovabili.it) – Il 1° aprile 2022 il Nuovo Galles del Sud (Australia) ha introdotto nuove leggi e sanzioni mirate specificamente alle proteste per il clima che bloccavano strade e porti. Fino a 15mila dollari di multa, carcere fino a 2 anni. Pochi giorni dopo il giro di vite è entrato in funzione. Un’attivista di 31 anni, Violet Coco, è stata accusata di resistenza alla polizia e di istigazione a commettere un reato durante una protesta in cui ha bloccato il traffico su una corsia del Sydney Harbour Bridge. L’istigazione deriverebbe dal fatto che ha trasmesso in streaming su Facebook la sua azione. È solo uno dei tanti esempi di “crescente repressione” degli attivisti per il clima nel mondo raccolti dalla relatrice speciale dell’ONU per i difensori dei diritti umani, Mary Lawlor.
Cresce la repressione degli attivisti per il clima nel mondo
Il suo rapporto disegna un panorama sconfortante per la sicurezza, la qualità degli spazi civici e del dibattito pubblico degli attivisti per i diritti umani, inclusi gli attivisti per il clima, in molte parti del mondo. “I difensori dei diritti dell’infanzia, in particolare le ragazze e i bambini non conformi al genere, compresi gli attivisti per il clima, si trovano ad affrontare una crescente repressione in molti paesi”, scrive in apertura del documento.
Un rapporto ONU analogo pubblicato nelle scorse settimane e concentrato sulle attività degli attivisti ambientali e la risposta degli Stati europei alle proteste per il clima arriva alle stesse conclusioni. Con l’Italia inserita nella lista dei paesi più propensi a dare un giro di vite.
E anche nel rapporto di Lawlor uno dei punti cardine sono le tattiche di disobbedienza civile. In risposta a un aumento di questi tipi di proteste, “gli Stati stanno adottando una linea sempre più dura nel gestire il diritto alla libertà di riunione, e quindi i giovani difensori dei diritti umani rischiano di essere criminalizzati per il loro attivismo”, scrive la relatrice speciale ONU.
In ballo c’è la restrizione degli spazi civici di libertà di espressione, ma anche la libertà di riunione. E una crescente polarizzazione del dibattito pubblico. Una repressione degli attivisti per il clima attuata con strumenti che criminalizzano le proteste anche quando non sono violente. “Gli atti di disobbedienza civile, particolarmente diffusi nell’azione per il clima, hanno avuto crescenti conseguenze amministrative e penali in tutto il mondo. I governi hanno utilizzato le leggi amministrative e sui reati minori, nonché le leggi penali, per prevenire e punire tali atti”, si legge nel rapporto.