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Rapporto Cave: in Italia si scava troppo e con canoni inadeguati

Legambiente: “Serve una profonda innovazione nel settore”. Puntare su riciclo, adeguamento delle tariffe e tutela del territorio 

Legambiente: “Serve una profonda innovazione nel settore”. Puntare su riciclo, adeguamento delle tariffe e tutela del territorio 

 

(Rinnovabili.it) – L’Italia si conferma un puzzle di regolamenti e di territori a velocità differenti anche quando l’argomento in questione sono le attività minerarie. Nella Penisola si continua a scavare troppo e con impatti devastanti sull’ambiente (dalle Alpi Apuane alle colline di Brescia, da Trapani a Trani), e lo si fa con normative troppo spesso inadeguate, incapaci di tutelare l’ambiente, ma anche l’economia del territorio stesso. È quanto emerge dal Rapporto Cave, l’analisi da Legambiente che dal 2009 monitora la situazione delle attività estrattive italiane. L’edizione 2017, presentata oggi a Roma, le conta quasi tutte, sia le 4.752 attive – in riduzione del 20,6% rispetto al 2010 a causa della crisi edilizia – e le 13.414 dismesse. Dal totale mancano quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio, vale a dire Friuli Venezia Giulia, Lazio e Calabria, il cui contributo potrebbe far salire la somma oltre le 14mila cave dismesse.

 

Ma, numeri di giacimenti a parte, il dossier sottolinea un grave problema: in nove Regioni italiane non sono in vigore piani cava e le regole risultano quasi ovunque inadeguate a garantire tutela e recupero delle aree. Mancano all’appello i piani di Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Pr. Bolzano, Basilicata e Piemonte (dove sono previsti Piani Provinciali), mentre nella maggior parte delle Regioni sono inadeguati i vincoli di tutela e mancano obblighi di recupero contestuale delle aree. Per Legambiente si tratta di un’assenza particolarmente preoccupante, perché “si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione in Regioni dove è forte il controllo da parte della criminalità organizzata”.

 

Di contro prelevare e vendere materie prime del territorio è un’attività altamente redditizia a fronte di canoni di concessione pagati da chi cava “a dir poco scandalosi”. In media nelle Regioni italiane si paga il 2,3% del prezzo di vendita di sabbia e ghiaia (27,4 milioni a fronte di 1.051 milioni di volume d’affari). Ancora maggiori i guadagni per i materiali lapidei dove è in forte crescita il prelievo e l’esportazione di materiali.  In diverse regioni addirittura si cava gratis: succede in Valle d’Aosta, Basilicata, Sardegna, ma anche Lazio e Puglia dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare inerti.

 

“Per Legambiente occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –, dove non è utopia pensare di avere più imprese e occupati nel settore, proprio puntando su tutela del territorio, riciclo dei materiali e un adeguamento dei canoni di concessione ai livelli degli altri Paesi europei. La sfida per i materiali di pregio è di mantenere in Italia le lavorazioni dei materiali, dove il tasso di occupazione è più alto. Mentre per gli inerti l’obiettivo è di spingere la filiera del riciclo, che garantisce almeno il 30% di occupati in più a parità di produzione, e che può garantire prospettive di crescita molto più importanti e arrivare a interessare l’intera filiera delle costruzioni. Ma per realizzare ciò servono delle scelte e delle politiche chiare da parte di Governo e Regioni”.