La Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito un rimborso da 49 milioni come danni materiali agli imprenditori a cui lo Stato confiscò i terreni
Successivamente i proprietari si sono rivolti alla Corte europea ed hanno sostenuto, in particolare, che la confisca subita è incompatibile con l’articolo 7 della Convenzione il cui primo comma, esaminando il profilo dell’efficacia nel tempo della legge penale, sancisce che i cittadini dei Paesi membri della Convenzione non possono essere condannati per un fatto non previamente previsto come reato dal diritto vigente, ovvero non possano essere assoggettati a pene più gravi di quelle applicabili al momento della commissione del fatto.
La Corte europea ha accolto la doglianza sulla base delle seguenti motivazioni.
In base all’art. 7 della Convenzione, la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Nel caso di Punta Perotti, la Corte di Strasburgo, sottolineando il fatto che, secondo la Corte di Cassazione, gli imputati hanno commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretazione delle norme violate, ha riconosciuto che le condizioni di accessibilità e prevedibilità della legge, non sono state soddisfatte.
Parallelamente, la Corte si è occupata della natura giuridica della confisca che per un consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale costituisce sanzione amministrativa che il giudice penale deve disporre allorché accerti la sussistenza di una lottizzazione abusiva, in funzione di supplenza rispetto alla pubblica amministrazione. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che la confisca sia una pena, sicché la giurisdizione italiana prevedendone l’applicazione al di fuori di ipotesi di responsabilità penale incorre nell’infrazione dell’art. 7 della Convenzione. Gli elementi a sostegno di questa tesi sono stati il suo collegamento con un reato accertato dal giudice penale, la finalità repressiva e non riparatoria della misura controversa e la sua gravità. La Corte, constatato che il reato, rispetto al quale la confisca è stata inflitta ai ricorrenti, non aveva alcuna base legale ai sensi della Convenzione e che la sanzione era arbitraria, ha affermato inoltre che vi è stata un’ingerenza arbitrario nel diritto al rispetto dei beni dei soggetti ricorrenti con conseguente violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1
Con la sentenza di ieri, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, sulla base dell’art. 41 della Convenzione (“se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”) ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei ricorrenti, i quali nonostante la revoca della confisca non hanno goduto degli immobili costruiti perché demoliti e dei terreni ove è sorta o sta sorgendo un’area verde. È una sentenza che senza smentire il clamore scaturito dai precedenti eventi, fa discutere. La demolizione delle costruzioni è stata il simbolo della lotta agli abusi edilizi e agli ecomostri, ma le conseguenze che ne sono derivate non sono di poco conto. La causa di tutto è una normativa non chiara che la Corte di Strasburgo non ha potuto non riconoscere.