(Rinnovabili.it) – Le sue acque profonde stanno divenendo sempre più calde e l’acidificazione non vuole dare segni di tregua. E se tutto ciò non bastasse, l’Oceano Pacifico sta anche combattendo un’aspra battaglia contro l’inquinamento umano. A dare una mano al complesso e vasto ecosistema sono da anni gli scienziati del National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa). Un team di 17 subacquei a bordo dell’imbarcazione Oscar Elton Sette è tornato la scorsa settimana da una missione di 33 giorni a largo delle coste di Papahānaumokuākea, nelle Hawaii. L’obiettivo era quello di ripulire una delle più grandi riserve marine del Pianeta dai rifiuti umani. Il risultato? Il viaggio ha portato a casa circa 57 tonnellate di spazzatura, tra reti da pesca abbandonate e rifiuti di plastica, rinvenute su atolli, barriere coralline e acque poco profonde. “La quantità di rifiuti marini che troviamo in questo luogo remoto e incontaminato è scioccante”, spiega Mark Manuel, responsabile scientifico della missione, raccontando di aver riempito fino in cima il contenitore per rifiuti dell’imbarcazione e di esser stati poi costretti a riempire i ponti della nave. “Siamo arrivati ad un punto in cui non era più possibile gestire altro, eppure ci sono ancora tantissimi rifiuti là fuori”.
A livello degli atolli di Pearl e Hermes, i subacquei hanno salvato tre tartarughe marine aggrovigliati in diverse reti da pesca ed hanno addirittura “perso” diversi giorni per rimuovere un super-tramaglio di 28 metri e oltre 11 tonnellate di peso che si era incastrato sul corallo di un atollo. Il NOAA conduce questo tipo di missioni dal 1996; 18 anni che hanno portato ad un totale raccolto di ben 904 tonnellate di rifiuti. Si tratta di un progetto di vitale importanza per l’ecosistema dal momento che solo le reti da pesca abbandonate costituiscono un serio pericolo sia per gli animali che dipendono dalla barriera corallina che per i coralli stessi. “Speriamo di trovare il modo con cui impedire alle reti di entrare in questo luogo speciale, ma fino ad allora, la loro rimozione è l’unica soluzione per impedirgli di danneggiare il fragile ecosistema.”