Per disinnescare il possibile circolo vizioso, i paesi devono “affrontare le ragioni alla base delle proteste”
(Rinnovabili.it) – Reprimere chi protesta in modo pacifico per il clima, anche usando la disobbedienza civile, è una “grave minaccia per la democrazia e i diritti umani”. E l’Europa sta andando nella direzione sbagliata. I paesi UE criminalizzano sempre di più le proteste per il clima. Permettono attività di polizia “pesanti, brutali e abusive” prima, durante e dopo proteste ambientali pacifiche. Arrestano i giornalisti che le seguono per raccontarle, come se fossero anche loro manifestanti, e sequestrano i loro video e foto. Trattengono chi protesta oltre i limiti concessi dalla legge per identificarli. Classificano in modo più rigido e punitivo le azioni di protesta, con multe e pene più alte.
Lo scrive Michel Forst, l’inviato speciale dell’ONU incaricato di valutare le attività degli attivisti ambientali e la risposta degli Stati alle loro proteste. Dopo un anno di indagini, Forst ha pubblicato ieri un documento in cui evidenzia un panorama di abusi, minacce e inasprimenti ingiustificati delle sanzioni in molti paesi europei. Tutti firmatari della convenzione di Aarhus, la Convenzione sull’accesso alle informazioni, sulla partecipazione del pubblico ai processi decisionali e sull’accesso alla giustizia in materia ambientale.
“L’emergenza ambientale che stiamo affrontando collettivamente, e che gli scienziati documentano da decenni, non può essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono un’azione vengono criminalizzati per questo. L’unica risposta legittima all’attivismo ambientale pacifico e alla disobbedienza civile a questo punto è che le autorità, i media e il pubblico si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che i difensori dell’ambiente hanno da dire”, scrive Forst.
Il giro di vite contro le proteste per il clima in Italia
Il rapporto presenta uno spaccato della situazione delle proteste per il clima e della loro repressione crescente, dettagliando modalità e abusi da parte delle forze di polizia, il ricorso eccessivo e sproporzionato all’uso della forza, l’intimidazione, il giro di vite a livello di leggi che sta avvenendo in molti paesi. Italia inclusa.
Sotto la lente, nel Belpaese, finisce soprattutto il cosiddetto ddl Ecovandali, approvato dal governo Meloni in risposta a una serie di azioni di protesta da parte del ramo italiano di Ultima Generazione, soprattutto l’imbrattamento di facciate di edifici istituzionali. Con questa legge, come sta avvenendo in altri paesi UE, “l’attivismo ambientale è stato etichettato come una potenziale minaccia terroristica. La legislazione viene sempre più utilizzata per reprimere la protesta ambientale attraverso l’introduzione di nuovi reati, sentenze più severe e divieti su particolari forme di protesta”, si legge nel rapporto ONU. Di conseguenza, comportamenti che in precedenza potevano essere etichettati come “imbrattamento” “vengono sempre più catalogati come “danneggiamento” e, analogamente, il “danneggiamento” come “distruzione”, portando a sentenze più severe per le stesse azioni”.
Ci sono poi casi, frequenti, di abuso da parte delle forze di polizia di identificazioni, fermi, arresti e sanzioni. In Italia, scrive Forst, “i manifestanti pacifici sono stati ripetutamente multati individualmente durante le proteste, il che ha ora costretto gli organizzatori della protesta a limitare il numero dei partecipanti ad una protesta per garantire che possano coprire il pagamento delle multe di tutti i manifestanti. I manifestanti hanno 48 ore per pagare la multa, altrimenti dovranno affrontare un procedimento penale”.
E l’inviato speciale dell’ONU rileva un abuso nel ricorso al Daspo urbano. “In Italia, le autorità utilizzano sempre più spesso il cosiddetto “Codice antimafia” per emanare ordinanze restrittive che vietano ai manifestanti ambientalisti pacifici di entrare in determinate città. Gli attivisti che hanno distribuito volantini durante una protesta a Torino contro l’industria dei combustibili fossili sono stati banditi dalla città di Torino, e divieti simili sono stati applicati in varie città d’Italia”, scrive.
Le raccomandazioni dell’ONU
Sono le premesse per innescare un circolo vizioso di radicalizzazione delle proteste e speculare aumento della repressione statale. Ma in gioco c’è molto: la possibilità di un dibattito pubblico e un’azione politica efficaci e incisivi per contrastare la crisi climatica. Come disinnescare questo rischio? “Invece di criminalizzare i difensori dell’ambiente, i governi dovrebbero affrontare le cause profonde della loro mobilitazione” è la prima raccomandazione di Forst. Cioè fare di più per il clima, onorando gli impegni presi nelle sedi internazionali.
Poi c’è un punto sulla qualità del discorso pubblico. Politici e media devono fare la loro parte: soprattutto evitando di “trasmettere l’idea che la disobbedienza civile pacifica, e ogni conseguente disordine che provoca, sia un’attività violenta o criminale”. Dando il giusto contesto alle proteste, spiegandone i motivi alla base, ed evitando di “mettere i movimenti ambientalisti che ricorrono alla disobbedienza civile pacifica nella stessa categoria delle organizzazioni criminali”.
A livello legislativo, Forst avverte che il sempre maggior ricorso alla disobbedienza civile nelle proteste per il clima non deve sfociare nella restrizione dello spazio civico e dell’esercizio delle libertà fondamentali. Di conseguenza, continua il rapporto, è sbagliato applicare a queste proteste gli stessi strumenti dell’anti-terrorismo, sia legislativi che di gestione dell’ordine pubblico e nell’iter giudiziario.