La metà delle sostanze chimiche controllate sino a oggi dalle autorità sanitarie nazionali risulta non sicura per l'uso che attualmente ne viene fatto. E mancano quasi completamente azioni di tutela
La denuncia di EEB: in Europa sono state prese misure di tutela solo per il 16% dei prodotti chimici pericolosi
(Rinnovabili.it) – Dai ritardanti di fiamma ai pigmenti sintetici, passando per gli antiossidanti plastici: è lunga la lista di prodotti chimici pericolosi diffusi in Europa, su cui manca tuttavia un’azione di tutela da parte delle istituzioni. La denuncia arriva oggi dall’ONG European Environmental Bureau che ha analizzato i primi risultati di CoRAP, il piano europeo per la valutazione delle sostanze a cui è imputato un possibile rischio per la salute umana o per l’ambiente; le autorità sanitarie nazionali ne hanno selezionate 352 sulle circa 22mila registrate a livello comunitario (ma ne utilizziamo 100mila) e, a rotazione, ogni stato membro prende in carica l’analisi di un prodotto. La tabella di CoRAP mette in ordine questi elementi indicando l’anno di inizio valutazione, lo stato membro a cui è stato assegnato il compito, le preoccupazioni iniziali, l’attuale stato dell’analisi e il responso.
Qual è il problema? Che delle 94 sostanze valutate dal 2012 sino ad oggi, quasi la metà (46) è stata definita pericolosa nel loro attuale impiego commerciale per la salute delle persone e per l’ambiente. Ovviamente per ognuna di loro gli esperti suggeriscono che si metta in campo un’azione di tutela da parte delle istituzioni ma per almeno il 74% di questi prodotti non è ancora stato fatto nulla.
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A preoccupare è soprattutto la lentezza con cui sta procedendo il Piano. Ciò è dovuto in gran parte alla documentazione inadeguata che le società chimiche consegnano ai funzionari sanitari. Per legge, le aziende sono tenute a fornire i dati sulla sicurezza delle sostanze ma in oltre metà dei casi (64%) tali informazioni sono risultate insufficienti. E l’iter per richiedere e controllare altri dati può far perdere fino a 16 anni di tempo.
Tra le centinaia di prodotti che ancora attendono il completamento di verifiche approfondite c’è il biossido di titanio, ampiamente utilizzato come pigmento e catalizzatore, ma sospettato di essere cancerogeno e mutageno. Un altro è il trifenilfosfato, un ritardatore di fiamma che si trova in alte concentrazioni in automobili, aule e uffici.
Che la situazione sia simile ad un puzzle con troppi pezzi mancanti lo ha sottolineato anche l’Agenzia europea per le sostanze chimiche: in un rapporto del 2018 sullo stato di avanzamento del processo di controllo REACH, ha rilevato come nel 74% dei fascicoli industriali mancassero “importanti informazioni sulla sicurezza”.
Nel frattempo le vendite di prodotti chimici globali sono più che raddoppiate tra il 2004 e il 2014, si prevede che raddoppieranno di nuovo entro il 2030 e quadruplicheranno entro il 2060. “Questo è molto preoccupante – commenta Tatiana Santos di EEB – Milioni di tonnellate di sostanze pericolose vengono utilizzate in modo impreciso dai consumatori e può volerci oltre un decennio prima che i funzionari ci proteggano, soprattutto perché le aziende non forniscono sufficienti informazioni sulla sicurezza”. “È chiaro che il sistema UE consente alle sostanze chimiche di entrare facilmente sul mercato e quindi, poi, fatichi a ‘riportare il genio nella bottiglia’ – continua Santos – Le aziende dovrebbero fare i conti con uno sbarramento molto più alta all’ingresso sul mercato e anche affrontare le dovute perdite se i loro dati si rivelano imprecisi, come spesso accade”.