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(Rinnovabili.it) – Una retromarcia completa rispetto alle politiche di Obama su ambiente e energia. Non si smentisce il neo presidente Usa Donald Trump, che ha delineato il suo programma per i primi 100 giorni alla Casa Bianca in un video. Non ha ripetuto esplicitamente la volontà di ritirarsi dall’Accordo di Parigi, ma le misure che ha nominato vanno esattamente in quella direzione: svuotarlo dall’interno, oppure non rispettarlo di fatto. Magari senza compiere il gesto plateale di togliere la firma, che potrebbe costare molto in reputazione e immagine internazionale.
Trump ha parlato per poco più di 2 minuti, quanto basta per seminare il panico tra i partner internazionali (affosserà il trattato sul commercio Trans-Pacific Partnership, TPP) e rovesciare le politiche sul taglio di emissioni di CO2 e la decarbonizzazione dell’economia Usa delineate negli ultimi 8 anni. Trump ha promesso di “togliere le restrizioni che cancellano posti di lavoro nella produzione di energia degli Usa, inclusi shale e carbone pulito, creando così milioni di posti di lavoro ben retribuiti”.
L’obiettivo quindi è spalancare la porta a nuove trivellazioni soprattutto per quanto riguarda gli idrocarburi non convenzionali (grazie ai quali gli Usa hanno guadagnato l’autosufficienza energetica), a dispetto di tutti i problemi che l’estrazione di shale oil&gas comporta: dall’inquinamento delle falde acquifere alla proliferazione di terremoti, alle sostanze chimiche impiegate nelle operazioni di fracking. Il via libera alla fratturazione idraulica, però, avrà un effetto anche sugli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di CO2. Basterebbe realizzare i 19 nuovi progetti di gasdotti già presentati (che pomperebbero shale gas) per rendere l’Accordo di Parigi carta straccia.
Identico discorso per le tecnologie di rimozione e sequestro delle emissioni provenienti dalle centrali termoelettriche e il loro processo di stoccaggio (CCS), tecnologia molto controversa e allo stato attuale poco sviluppata. Per renderla operativa su larga scala servirebbero investimenti cospicui, che giocoforza dovranno essere sottratti da altri capitoli di spesa: tutto fa credere che a rimetterci sarà l’ambiente.
Tutte politiche che Trump potrà sviluppare con facilità mettendo persone a lui affini ai vertici dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) e del Dipartimento degli Interni che controlla migliaia di ettari di parchi e terreni federali, da gennaio potenzialmente a rischio trivellazioni. I nomi in lizza per gli Interni non fanno ben sperare: la governatrice dell’Oklahoma Mary Fallin che difende da anni il fracking nonostante il suo Stato sia scosso da migliaia di terremoti; l’ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin, altrettanto a favore delle trivelle; il co-fondatore della Lucas Oil Forrest Lucas.