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Porto Tolle, condannati i vertici Enel

porto tolle (foto dileganord.veneto.it)(Rinnovabili.it) – Il tribunale di Rovigo si è pronunciato: 3 anni di reclusione e 5 d’interdizione dai pubblici uffici per gli ex-vertici Enel. Franco Tatò e Paolo Scaroni, a.d. di Enel, rispettivamente dal 1996 al 2002, e dal 2002 al 2005, sono stati condannati in primo grado di giudizio per il “grave inquinamento” causato dalle emissioni della centrale termoelettrica di Porto Tolle.

La sentenza è arrivata ieri sera dopo una lunga battaglia legale che puntava i riflettori sul reato di disastro ambientale doloso; in realtà la corte ha accolto solo in parte la tesi del Pm, Manuela Fasolato, riconoscendo sì il rapporto tra le emissioni in eccesso della centrale e i danni alla salute e all’ambiente, ma assolvendo invece gli imputati per l’ipotesi di omesse cautele. Nel corso delle indagini, infatti, il Pubblico ministero aveva rivelato come fosse stata omessa l’installazione di apparecchiature atte a misurare l’impatto delle emissioni della vecchia centrale a olio combustibile. Un fattore fondamentale, che secondo la tesi dell’accusa avrebbe potuto aver causato l’aumento delle malattie respiratorie infantili così come evidenziato dalle analisi successive dell’Istituto dei Tumori del Veneto. 

 

Assolti invece Fulvio Conti e altri cinque ex manager finiti a processo così come l’ex direttore dell’impianto Renzo Busatto, per il quale in sede di requisitoria il Pm aveva riconosciuto la prescrizione. Il Tribunale ha inoltre condannato Tatò e Scaroni al pagamento di una provvisionale complessiva di 430 mila euro suddivisi tra le parti civili (Ministeri dell’ambiente e della salute, la Provincia di Rovigo e alcuni Comuni polesani, le associazioni Legambiente, Greenpeace, WWF). Ed è proprio da quest’ultime che arriva il primo commento di soddisfazione per la sentenza che ha riconosciuto ciò che le tre organizzazioni ambientali hanno denunciato per anni: “che la centrale di Porto Tolle ha continuato a funzionare in mancanza delle autorizzazioni ambientali, causando gravi danni alla salute della popolazione residente e all’ambiente”.

 

“Ora il nesso tra le emissioni di quella centrale e l’aumento di patologie nella popolazione locale appare provato, spiegano in un comunicato stampa congiunto – come pure l’impatto sul fragile ecosistema del Delta del Po che ospita l’impianto; ed Enel sarà chiamata a rifondere danni per 3,6 miliardi di euro”. Greenpeace, Legambiente e WWF auspicano che la sentenza odierna rappresenti anche l’archiviazione definitiva per i progetti di riconversione a carbone dell’impianto: “non risponde ad alcuna necessità energetica del Paese, non ha fondamento in termini di strategia industriale e consegnerebbe il Polesine a un modello di sviluppo già dimostratosi perdente e dannoso”.

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