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Porte Tolle, ampliato il capo d’imputazione

Slitta a gennaio il processo. Il pm Fasolato ha esteso il capo di imputazione con la contestazione suppletiva di disastro doloso

Parte con un rinvio il processo ai dirigenti dell’Enel che hanno gestito la centrale termoelettrica di Porto Tolle tra il 1998 e il 2009. Il processo è partito giovedì ad Adria ma è stato rinviato perché il pubblico ministero ha ampliato il capo di imputazione con la contestazione suppletiva di disastro doloso.  Ai dieci imputati era contestato in concorso, l’omissione dolosa di cautele contro disastri e infortuni sul lavoro. Il reato aggiuntivo comporta una pena che va dai tre ai dodici anni di reclusione. Il giudice ha preso atto che per una pena massima sopra i dieci anni la competenza passava al tribunale collegiale. Il processo viene quindi trasferito a Rovigo con la prima udienza fissata per il 24 gennaio prossimo.

Per l’accusa, i dieci indagati nei periodi di competenza dal 1998 al luglio 2009 avrebbero omesso di installare o far installare impianti ed apparecchi (filtri o altro) destinati a prevenire disastri e/o infortuni sul lavoro a causa dell’emissione di inquinanti oppure non avrebbero attuato l’ambientalizzazione della centrale, continuando ad usare in ingenti quantità, combustibili con alte percentuali di inquinanti (come il So2, Nox, polveri, particolato, metalli tra cui vanadio) emessi in atmosfera dal 1998.

Secondo l’accusa occorrerà verificare se quelle emissioni e l’omissione dolosa da parte dei dirigenti possano aver contribuito a creare un aumento di malattie respiratorie e cardiovascolari. L’accusa si basa su uno studio epidemiologico, commissionato dalla procura di Rovigo, che mostra profili di rischio per la popolazione considerevoli, denotando un incremento di ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie che hanno interessato soprattutto i bambini tra i 0  e 14 anni .

Già qualche anno fa l’inquinamento della centrale di Porto Tolle e la sua illecita gestione sono stati oggetto di un procedimento penale, finito nel 2011 con la sentenza di Cassazione.

In primo grado il Tribunale di Rovigo- sezione distaccata di Adria- con una sentenza del 2006 aveva condannato gli amministratori delegati e i due direttori della Centrale dell’Enel  per getto pericoloso di cose (art. 674 c.p.), danneggiamento aggravato all’ambiente e al patrimonio pubblico e privato ( art. 635 cp.) e per la violazione degli artt 13 e 25 del DPR 303/88 sul divieto di peggioramento delle emissioni per gli impianti esistenti. La Corte di appello di Venezia aveva confermato la condanna dei direttori di centrale mentre aveva assolto o vertici aziendali. La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di appello in relazione alla responsabilità dei direttori di centrale, ma non ha escluso che gli stessi amministratori delegati  della società capogruppo Enel spa possano essere ritenuti responsabili dei reati ambientali e di danneggiamento.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto che le scelte gestionali adottate dall’Enel hanno consapevolmente disatteso sia le norme comunitarie sia le norme nazionali e regionali di tutela ambientale. E a tal proposito aggiunge : “la scelta consapevole di non adottare le misure necessarie per adeguare gli impianti alla normativa richiamata deve essere considerata scelta di ordine strategico e non riducibile, soprattutto anteriormente alla privatizzazione del 1999, alla sfera di valutazione delle persone preposte alla gestione dell’impianto”.

Interessante anche per il procedimento pendente è la posizione della Suprema Corte riguardo al reato di cui all’art. 674 c.p., secondo la quale la diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di versamento di cose ai sensi della prima ipotesi dell’articolo in oggetto e non in quella di emissioni di fumo per le quali si configura una responsabilità “nei casi non consentiti dalla legge”. In ogni caso, come sostenuto chiaramente dalla Cassazione, il mantenimento delle emissioni entro i limiti consentiti dalla legge non è di per sé sufficiente ad escludere l’esistenza del reato e della relativa sanzione, potendo assumere rilevanza l’omessa adozione delle misure tecniche in grado di impedire il verificarsi delle molestie alle persone.

Si dovranno aspettare degli anni (si spera prima della prescrizione) prima di vedere se il nuovo procedimento si concluderà con la conferma di questa linea interpretativa della giurisprudenza, che, come avviene da sempre, colma le lacune legislative legate alla protezione ambientale.

La centrale di Porto Tolle, la sua gestione e la sua riconversione sono al centro di ampi dibattiti ormai da anni, ma il caos vigente dell’impianto normativo, l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione del cittadino e gli enormi interessi che si nascondono dietro il mercato dell’energia, ostacolano la concretizzazione della tutela della salute delle persone e dell’ambiente. I grandi interessi economici portano, e sono le vicende giudiziarie passate e presenti che lo dimostrano, a sottovalutare e/o ignorare le conseguenze delle condotte illecite e delle omissioni, che diventano rilevanti solo nel momento in cui un procedimento penale le porta a galla.