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Plastic Radar: mari italiani pieni di plastica monouso

L’iniziativa con cui Greenpeace ha voluto far luce sullo stato di inquinamento da plastica su spiagge, fondali e mari italiani ha rivelato che il 90% dei rifiuti rinvenuti sarebbe usa e getta e riconducibile in gran parte a San Benedetto Group, Coca-Cola Company e Nestlé

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Più di 3.200 persone hanno aderito all’iniziativa e inviato segnalazioni per un totale di 6.800 rifiuti in plastica

 

(Rinnovabili.it) – “Sebbene la presenza di rifiuti in plastica lungo i litorali italiani sia molto spesso imputabile a uno scorretto comportamento individuale, le multinazionali degli alimenti e delle bevande devono assumersi le proprie responsabilità di fronte ad una contaminazione sempre più grave”. Questo il commento a caldo del responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, Giuseppe Ungherese, sull’analisi dei dati di Plastic Radar, l’iniziativa di Greenpeace che ha coinvolto in prima persona tutti gli amanti del mare su Whatsapp, per segnalare l’inquinamento da plastica su spiagge, fondali e mari italiani. Sebbene non si tratti di un rigoroso strumento di analisi scientifica, lo ammette lo stesso Greenpeace, l’iniziativa ha coinvolto più di 3.200 persone che hanno inviato segnalazioni per un totale di 6.800 rifiuti in plastica, il 90% dei quali usa e getta e riconducibili in gran parte alle multinazionali San Benedetto Group, Coca-Cola Company e Nestlé.

 

Le segnalazioni fotografiche pervenute, infatti, sono state analizzate per far luce non solo sulla tipologia di rifiuto in plastica, ma anche per individuare i marchi e le aziende produttrici. Nel 90% dei prodotti usa e getta denunciati, sono state rinvenute bottiglie per acqua e bevande in genere (25%) e, a seguire, confezioni per alimenti (10% circa), frammenti (6%), sacchetti di plastica (4%), bicchieri, flaconi di detersivi, tappi e reti (tutti al 3%) e contenitori industriali, flaconi di saponi e contenitori in polistirolo (tutti al 2%). Una menzione particolare per le reti da pesca, rinvenute principalmente nel Mar Adriatico e nel Mar Ionio e la maggior parte delle quali tubolari, ovvero quelle utilizzate da alcuni anni negli allevamenti di cozze.

 

Considerando che la tipologia di rifiuto in plastica più segnalata è rappresentata dalle bottiglie per l’acqua minerale e le bevande – commenta Greenpeace nel comunicato diffuso quest’oggi – non sorprende che il PET (Polietilene Tereftalato) sia risultato il polimero più comune nei mari italiani, seguito dall’HDPE (Polietilene ad alta densità)”. Da qui il monito verso le grandi aziende, da una parte per porsi il problema del riciclo di tutta la plastica che loro stesse immettono sul mercato, dall’altra per far sì che inizino a pensare a delle alternative alla plastica usa e getta da offrire ai consumatori.