(Rinnovabili.it) – La legge 6 ottobre 2017, n. 158 che contiene le misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni è una legge lungimirante, dove il legislatore è stato capace di seminare oggi per raccogliere domani, quindi di guardare al futuro. Una legge che valorizza una parte importante, ma troppo spesso sottovalutata, dell’Italia coniugando tradizione e innovazione: prevede infatti misure per favorire lo sviluppo della banda larga, la promozione dell’agroalimentare a filiera corta, il turismo di qualità, la protezione dell’ambiente, la manutenzione del territorio, la messa in sicurezza del patrimonio edilizio.
Il 2018 è l’anno del cibo italiano, ma quanti sanno che il 92% delle tipicità nasce nei piccoli comuni? Si tratta di piccole aziende agricole che con lo spopolamento dei territori morirebbero, facendo perdere posti di lavoro e coltivazioni di eccellenza (spesso biologiche). Tradotto in numeri, solo dalla valorizzazione del settore enogastronomico dipendono le opportunità di lavoro di 3,9 milioni di under 40 che hanno scelto di rimanere nei piccoli borghi. Vogliamo ricordare che la salvaguardia delle colture agricole storiche non si traduce solo nel mantenimento delle tradizioni alimentari, ma anche nella tutela del territorio dal dissesto idrogeologico.
Le piccole realtà produttive comprendono anche l’artigianato, la manifattura, il turismo culturale. Questa legge, quindi, guarda a imprese, comunità, persone, associazioni che hanno un’ambizione comune, la qualità, e sono unite da valori come la coesione sociale, la green economy, la bellezza, il capitale umano che fanno la peculiarità del Made in Italy. Un’economia gentile, rispettosa dell’ambiente e attenta al benessere dell’uomo, in linea anche con quanto ha affermato Papa Francesco nella Laudato si’.
Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, ci spiega lo spirito e il contenuto di questa legge di cui è stato primo firmatario.
Perché ci è voluto così tanto per approvare una legge così importante?
Ci sono voluti più di dieci anni. La filosofia della legge nasce addirittura prima che io entrassi in Parlamento da una campagna che avevo promosso come presidente di Legambiente, “Voler bene all’Italia”. Il punto di partenza era proprio l’idea che uno dei punti di forza dell’Italia fosse questa diffusione di piccoli comuni, di patrimonio storico-culturale, di produzione, di paesaggi, di comunità che non ha paragone con nessun altro paese del mondo. Entrato in Parlamento nel 2001 proposi questo testo di legge che è stato sempre approvato alla Camera un po’ perché c’ero io, e quindi c’era una pressione politica maggiore – pur con diverse maggioranze per quattro legislature – poi si fermava al Senato.
Dietro questo fatto ci sono sia motivi tecnici – al Senato veniva spesso assegnata a Commissioni volte più a valutare gli equilibri istituzionali fra soggetti diversi, quindi diventava una palude nella quale non si riusciva a muovere un passo – sia motivi politico-culturali, perché la verità è che per un lungo periodo una larga parte della politica e della cultura ha pensato ai piccoli comuni come a un peso, una specie di piccolo mondo antico che nella migliore delle ipotesi andava accompagnato dolcemente verso l’estinzione.
Questo lo si vede carsicamente nelle posizioni che hanno preso molte forze politiche. I Cinque Stelle proposero nella scorsa campagna elettorale lo scioglimento dei piccoli comuni. Quando Calderoli fece la famosa legge del taglio di 30-40mila poltrone, la verità è che praticamente tutte o quasi tutte le poltrone riguardavano i piccoli comuni: Calderoli non aveva capito che in un piccolo comune avere un assessore o un consigliere comunale in più non è una spesa, quella è gente che non si ripaga neanche la benzina con quei soldi. Ci sono comuni in cui l’insieme degli emolumenti del sindaco, di tutti gli assessori e del consiglio comunale non arriva a 15.000 euro all’anno. È gente che vive facendo altri lavori, quell’investitura diventa lo stimolo a fare l’impiegato volontario aggiunto, a spalare la neve con più convinzione, perché si pensa a rispondere alle domande dei cittadini. Anche nel PD non sono mancate posizioni, tradotte a volte in proposte di legge, che tendevano a ridurre fortemente il numero dei comuni. Voglio essere chiaro: io non sono ovviamente contrario all’idea che ci siano fusioni tra i comuni, ma bisogna partire dal concetto che il tema dell’identità delle comunità è un patrimonio prezioso. Pensare di semplificare l’Italia indebolendo questo patrimonio è un grave errore sotto tutti i punti di vista: culturale, sociale e anche economico, perché questo tessuto è unico al mondo.
Per capire lo spirito di questa legge bisogna avere lo sguardo al futuro.
Uno che aveva capito subito la forza di questa legge è stato il Presidente Ciampi, persona di grandissima intelligenza. Aveva capito che c’era un’identità forte, una specie di nuovo patriottismo che poteva partire dai piccoli comuni e che – tema molto presente nella legge – le nuove tecnologie potevano essere la base di una nuova avventura anche di tipo imprenditoriale per i giovani, perché oggi per essere competitivo nel mondo non hai bisogno di una ciminiera che fuma, ma della banda larga: se hai la banda larga puoi stare anche in un posto relativamente non centrale, ma dialogare con il resto del mondo. Ciampi aveva capito con grande lungimiranza lo spirito della legge, cioè che non bisogna produrre un meccanismo assistenziale a pioggia, ma spingere su una nuova lettura del paese. Una bellissima frase di Proust dice che “un viaggio di scoperta non è cercare nuove terre ma avere nuovi occhi”: la legge è questo, è stata al tempo stesso una grande vittoria, ma solo un primo passo.
Cosa si può fare con finanziamenti obiettivamente scarsi?
Si è molto discusso a proposito dei finanziamenti, che sono pochissimi e che sicuramente bisognerà cercare di aumentare, ma sono rivolti soprattutto ai comuni in condizioni più difficili, però la forza della legge è nel riorientare le politiche.
Faccio un esempio concreto: c’era una fortissima tensione intorno al tema della chiusura degli uffici postali, ora la legge dice che non si possono più chiudere nei piccoli comuni. Tuttavia, se si spediscono meno lettere, obiettivamente il problema esiste, allora la legge ha previsto che quelle strutture saranno usate per svolgere altre funzioni. Dopo l’approvazione della legge abbiamo convocato l’amministratore delegato di Poste Italiane, che ne ha capito lo spirito ed ha accettato di diversificare l’offerta e fornire nuovi servizi ai cittadini. In molti comuni, per esempio, chiudono gli sportelli bancari, c’è un problema di tesorerie comunali: gli uffici postali possono svolgere queste funzioni.
Sembra di capire che a fronte di finanziamenti ridotti ci siano ricadute importanti sul fronte dell’occupazione.
La chiusura degli uffici postali è un segnale di indebolimento del tessuto sociale e produttivo del territorio, ma questo vale anche in altri casi: chiudere un ufficio postale o una scuola in una città per accorparla è una cosa, chiuderla in piccolo comune è un’altra. La legge fa una scommessa sui piccoli comuni, salvaguarda i servizi essenziali come scuole, uffici postali, presidi sanitari, piccoli esercizi commerciali, caserme dei carabinieri, cioè l’insieme di questo tessuto; tutto questo si traduce in un aumento dell’occupazione. È come una scintilla che innesca un meccanismo virtuoso.
Ma soprattutto la legge orienta in questo senso le politiche: dice ad esempio che i fondi UE vanno rivolti in maniera prevalente a quei territori, la banda larga deve arrivare nei piccoli comuni prima che in altre zone. In sostanza propone una nuova lettura del paese, che poi dal punto di vista del dibattito e delle inziative ha incrociato il passagio fra l’anno dei borghi e l’anno del cibo italiano. Potrei dire che ha molto a che vedere anche con l’anno europeo del patrimonio culturale, perché una parte importantissima del nostro patrimonio storico-culturale è legato ai circa 5.600 piccoli comuni italiani. Sicuramente l’incrocio fra queste tre chiavi di lettura – borghi, patrimonio culturale, cibo italiano – ha nei piccoli comuni un protagonista assoluto.
La legge parla di recupero dei centri storici, di manutenzione del territorio, di messa in sicurezza degli edifici. Conoscendo il suo spirito ambientalista, che cosa cambierà con questa legge a livello del territorio?
La legge è una specie di lettura del presente e del futuro, dipende poi da come viene interpretata sui territori. In questi anni sono stati forniti molti strumenti per passare da un’edilizia di nuova costruzione a un’edilizia legata alla riqualificazione, cioè risparmio energetico, fonti rinnovabili, consolidamento antisismico godono di incentivazioni molto forti (arrivano anche fino all’85% della spesa).
Questi strumenti, negli anni passati, sono stati anche un modo per sostenere il settore dell’edilizia che è quello che ha perso più posti di lavoro: dall’inizio della crisi, l’edilizia ha perso circa 600mila posti di lavoro. L’anno scorso questo insieme di strumenti ha prodotto 28 miliardi di euro di investimenti privati e fra diretto e indotto circa 420mila posti di lavoro (dati Cresme e servizio studi della Camera, ndr).
Quindi se c’è una nuova edilizia in campo, c’è purtroppo anche un terreno di sperimentazione di queste politiche che è il cratere del terremoto. Questo vale per l’edilizia, per le economie delle aree interne, legate alle produzioni agricole e manifatturiere, al turismo dei beni culturali e al loro restauro: pensiamo che solo le chiese distrutte o gravemente danneggiate nell’area del cratere sono 1.200, quindi sarà il laboratorio del mondo sulla nuova edilizia e sul restauro dei beni culturali. È un modo perché una tragedia possa diventare un’occasione di crescita.
Coniugare storia, cultura e tradizioni con l’innovazione e la green economy è un obiettivo ambizioso. Per una volta sembra che l’appartenenza politica abbia lasciato spazio a un’idea di sviluppo che punta sul territorio e sull’idea di comunità: un evidente cambio di prospettiva.
Fermare la chiusura degli uffici postali nei piccoli comuni di cui parlavo prima richiede l’impiego di tantissime risorse, come pure farci arrivare la banda larga, ma sono risorse che vengono impiegate riorientando le politiche esistenti, orientando i soggetti che sono già oggi in campo, quindi l’impatto della legge dipende da come è stata e sarà interpretata.
Mi ha colpito molto una cosa, anche divertente per certi aspetti. Pochi giorni dopo l’approvazione della legge, era programmata un’udienza da Papa Francesco con i sindaci delle grandi città guidati da Antonio Decaro, presidente dell’ANCI e sindaco di Bari. Decaro mi ha chiamato per dirmi che nel poco tempo che è rimasto da solo col Papa – meno di un minuto – lui gli ha detto “Bella questa legge sui piccoli comuni, ne dobbiamo parlare di più!”. Tenuto conto che la legge sui piccoli comuni non ha avuto l’apertura dei telegiornali o le prime pagine dei quotidiani, il Papa aveva percepito nella legge un progetto amico, qualcosa che entrava in sintonia con l’ispirazione della sua Laudato si’: un’economia che affronta i temi ambientali enfatizzando la dimensione umana e comunitaria è molto importante, e dimostra non solo che il Papa argentino, ancorché di lontane origini piemontesi, è molto attento all’esistente, ma ha colto in pieno la chiave di lettura della legge. Ha capito che c’è un cambio di prospettiva in cui oltre alle nuove tecnologie è l’identità positiva del paese che diventa un ingrediente del futuro. C’è una frase di Mahler che a me piace molto che dice che “la tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco”. Noi vogliamo custodire e valorizzare il fuoco dell’Italia.