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Inquinamento: primi passi verso limiti nazionali per i pfas

Il ministro dell’ambiente incontra le associazione ambientaliste e ribadisce l’impegno nella lotta all’inquinamento chimico. Al via tavolo tecnico per linee guida

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Riflettori puntati sull’inquinamento da pfas

(Rinnovabili.it) – Mettere al bando i Pfas iniziando a imporre seri e precisi vincoli a livello nazionale. Questo quanto chiedono oggi oltre 14mila cittadini italiani al governo attraverso una nuova petizione. Legambiente e il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas l’hanno consegnata ieri al ministro dell’Ambiente Sergio Costa con una missiva in cui ricordano tutte le criticità legate alle sostanze perfluoroalchiliche. A partire dal quel ritardo nell’azione che ha caratterizzato gli anni passati. Era il 2013 quando per la prima volta una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti “emergenti” nei fiumi italiani, aveva segnalato la presenza di questi contaminanti in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili. Cinque anni dopo la questione è tutt’altro che risolta.

 

Cosa sono i PFAS? Si tratta di una classe di acidi impiegati principalmente per rendere resistenti a grassi e acqua diversi prodotti, tra cui tessuti, carta e rivestimenti per contenitori alimentari (come ad esempio le padelle antiaderenti). Prodotti a partire dagli anni ’50, oggi sono diffusi in tutto il mondo soprattutto nelle forme dell’acido perfluoroottanoico (PFOA) e dell’acido perfluoroottansulfonico (PFOS). Questi composti sono dotati di elevata persistenza nell’ambiente e dato l’uso intensivo che se ne è fatto questi composti sono stati rilevati in concentrazioni significative nell’ambiente e negli organismi viventi. La letteratura scientifica in merito ai danni ambientali e sanitari da Pfas è tuttavia ancora povera. Oggi  sono considerati tra i fattori di rischio per un’ampia serie di patologie tra cui tumori a reni e testicoli e malattie tiroidee.

 

In Italia il problema ha la sua “zona rossa” in Veneto e in particolare nelle provincie di Vicenza, Verona e Padova. Qui, recenti analisi hanno rinvenuto nel sangue del 30% almeno della popolazione valori altissimi delle sostanze perfluoroalchiliche. “La maggior indiziata – spiega Legambiente – secondo le analisi di Arpa Veneto è la Miteni Spa, ex Rimar, una fabbrica chimica che insiste sui territori di Trissino (Vicenza) e che già nel 1977 si era resa responsabile dell’inquinamento delle falde dei Comuni di Creazzo, Sovizzo e Monteviale”.

La Regione è l’unica in Italia ad aver fissato dei limiti a queste sostanze nelle acque potabili. Ma la presenza dei Pfas interessa l’intero territorio nazionale e come anticipato alcune settimane fa dallo stesso Costa, le Agenzie regionali protezione Ambiente di Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Sicilia e Umbria stanno effettuando dei monitoraggi mirati avalutare l’estensione del fenomeno e stabilire l’adozione di misure per la salvaguardia ambientale. I risultati sono attesi per la fine dell’anno. Nel frattempo il ministro ha confermato l’impegno a portare avanti una normativa nazionale in materia.

 

“Non possiamo permetterci di ignorare che siamo di fronte a una contaminazione delle falde da PFAS che solo in Veneto interessa almeno 300 mila persone ed è nostra responsabilità intervenire nel rispetto dei ruoli per assicurare la tutela ambientale. – ha dichiarato in una nota stampa – Siamo di fronte a un’emergenza che va affrontata con tutti gli strumenti a nostra disposizione, tra cui il tavolo esteso a tutte le Regioni, le quali hanno competenza sui valori limite di queste sostanze negli scarichi. Le conoscenze scientifiche su queste sostanze sono sempre più solide e questo ci richiama alla necessità di una valutazione più approfondita sui valori limite da adottare e sulla possibile inclusione di nuove sostanze del gruppo dei PFAS”.

 

È di ieri sera, intanto, il primo voto in commissione Ambiente (ENVI) dell’Europarlamento sulla proposta di testo della nuova direttiva Acque potabili che comprende nuovi limiti per i pfas. Il testo introduce limiti più stringenti rispetto a quelli attualmente in vigore in Veneto, ma per Legambiente ancora insufficienti.