(Rinnovabili.it) – Gli Stati Uniti in ottobre diventeranno il primo produttore di petrolio e gas di petrolio al mondo, con l’Europa già pronta ad approfittarne grazie al Ttip. Per la prima volta, dal 1991, sul gradino più alto del podio saliranno le trivelle a stelle e strisce, relegando al secondo posto l’Arabia Saudita e al terzo la Russia: lo rivela il Financial Times, monitorando i dati IEA (International Energy Agency), che fotografavano fino allo scorso agosto un’America sostanzialmente al pari con il concorrente arabo. La rispettiva produzione di petrolio, etano e propano, si attestava sugli 11,5 milioni di barili al giorno, contro i 5 del 2008. Adesso gli USA sono addirittura pronti al sorpasso, a seguito della radicale trasformazione del settore negli ultimi anni. Grazie al fracking, l’amministrazione Obama ha potuto raggiungere vette produttive mai toccate dalla sua nazione, arrivando a svuotare giacimenti prima inaccessibili in Texas e North Dakota. Dai grandi vantaggi economici che ne derivano sono, ovviamente, scomputati i costi ambientali e sociali scaricati su territori e comunità locali, oltre a quelli che pesano sul clima. Ma tant’è: l’etano e il propano ottenuti con il fracking sono stati la marcia in più per abbattere la dipendenza statunitense dagli approvvigionamenti esteri.
Nel 2015, le previsioni parlano di un 21% di consumi derivanti dalle importazioni, contro il 60% del 2005. Numeri che gli USA sognano di incrementare fino al 2020, raggiungendo l’autosufficienza. Numeri, però, che sanno di zucchero anche sull’altra sponda dell’Atlantico, dalla quale l’Unione Europea guarda con interesse i progressi americani. Attraverso l’accordo bilaterale di libero scambio (Ttip) negoziato dall’estate 2013, il vecchio Continente punta ad accaparrarsi un po’ di quel petrolio e gas, così da svincolarsi progressivamente dalle spire russe, dato che con la crisi ucraina i prezzi cominciano a salire. Un terzo del del gas europeo sgorga dai rubinetti di Putin, e l’Ue vuole ridurre queste percentuali per non rischiare spese folli in futuro.
Il Ttip è la soluzione prediletta da Bruxelles, ma prima bisogna preparare la normativa. Le emissioni di gas serra provocate dall’estrazione e dal trattamento delle sabbie bituminose, infatti, sono più alte del 23% rispetto a quelle legate agli altri combustibili fossili usati in Ue. La direttiva europea sulla qualità dei carburanti (FQD) non ammette l’uso di quelli troppo inquinanti, per questo va “annacquata”. La metodologia utilizzata per valutare l’impronta carbonica del carburante verrà “rivista” – sostiene un report – per far rientrare nei limiti della direttiva anche gli idrocarburi non convenzionali e abilitarli all’importazione. In qualche modo bisognerà pur che gli sforzi americani vengano premiati.