(Rinnovabili.it) – L’amministrazione Obama sta valutando un cambio di strategia epocale nella politica energetica USA: cominciare ad esportare il petrolio. Lo rivela uno scoop della Reuters, secondo cui le sirene degli alleati Nato e della Sud Corea stanno tentando il governo americano. Un via libera all’export dell’oro nero a stelle e strisce porterebbe a una alterazione dello scacchiere energetico globale, ridefinendo i flussi commerciali e mettendo il turbo agli introiti dei produttori, attualmente costretti a vendere il loro greggio unicamente entro i confini nazionali.
Il blocco alle esportazioni è in vigore dal 1973: il Congresso lo aveva istituito durante la crisi energetica, dopo che i Paesi dell’Opec avevano interrotto le forniture. Oggi Unione europea, Messico e Corea del Sud premono per aprire i confini americani: secondo gli esperti, comunque, non siamo ancora agli sgoccioli. Washington ha sempre giustificato la sua politica trincerandosi dietro preoccupazioni sulla sicurezza nazionale e necessità di proteggersi da un calo delle risorse interne. Oggi però, con i trattati bilaterali e multilaterali di libero scambio, questa posizione è difficile da sostenere dato che le risorse USA sono più che abbondanti, e che loro stessi pretendono che beni di cui i partner dispongono a sazietà vengano resi disponibili all’export.
Le ragioni per mantenere il blocco, perciò, sono troppo deboli (per i valori cui questi accordi si rifanno), e potrebbero essere facilmente impugnate dai partner commerciali degli Stati Uniti. Le restrizioni sui combustibili fossili sarebbero infatti inconciliabili con i dettami del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), accordo firmato dagli USA nel 1994, cui fra un anno rischia di affiancarsi il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Il trattato mira a costruire la più grande area di libero scambio con l’Unione europea, e difficilmente il petrolio potrebbe restarne fuori. Il commissario europeo al commercio uscente, Karel De Guht, si è affrettato a precisarlo: petrolio e gas di scisto devono arrivare in Europa, è il mantra della Commissione.
Ma a livello geopolitico un cambio di strategia quasi obbligato, per Obama, potrebbe trasformarsi in un vantaggio: l’export del petrolio diventerebbe uno strumento di politica estera in grado di sottrarre alla Russia una fetta di mercato. Il governo sarebbe disposto, secondo la Reuters, a cambiare strategia attraverso trattati di libero scambio oppure mettendo in atto un vero e proprio baratto: petrolio “leggero”, più costoso e produttivo, in cambio di petrolio “pesante”, meno caro e ancora da raffinare (come quello, altamente inquinante ottenuto dalle sabbie bituminose).
Fino a qualche tempo fa sarebbe stato impensabile un ripensamento USA tanto radicale per quanto riguarda la strategia energetica: infatti lo Stato era importatore netto di greggio. Ma il boom del fracking ha pompato nei magazzini americani un milione di barili in più all’anno, creando oggi il problema opposto: si rischia la saturazione della domanda, la stagnazione del processo produttivo e il crollo dei prezzi se non si trova il modo di svuotare la dispensa.
I modi per farlo esistono, e sono più di uno. Li ha illustrati Mona Sutphen, deputy chief dello staff del presidente Obama. In un suo intervento alla Columbia University ha detto che «un grosso scompiglio nella produzione globale di petrolio, come ad esempio quella derivante da un conflitto in Medio Oriente – guarda caso – potrebbe stimolare una grande discussione sull’export». Se la prima soluzione non dovesse andare a “buon fine”, poco male: il processo subirebbe soltanto qualche ritardo, ma prenderebbe comunque il via con la firma dei trattati di libero scambio sul versante Atlantico (TTIP) e Pacifico (TPP).