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Petrolio e tumori: in Val d’Agri si muore di più

Petrolio e tumori in Val d'Agri si muore di più

 

(Rinnovabili.it) – Il petrolio della Val d’Agri uccide? La risposta è nelle cifre. Se da un lato è necessario aspettare l’esito del sequestro delle cartelle cliniche – operato ieri dal Noe in Basilicata – è anche vero che di dati sui tumori nella regione esistono già. E secondo il presidente dell’associazione Medici per l’Ambiente (ISDE), Roberto Romizi, sono cifre più alte della norma.

«Una recente indagine dell’Ufficio statistica dell’Istituto superiore di sanità, trasmessa alla regione Basilicata, segnala sul territorio regionale, e in particolare in Val d’Agri, un eccesso di mortalità per tumori allo stomaco e per leucemie – ha detto Romizi – È assolutamente verosimile un nesso tra l’aumentata mortalità per alcune patologie sul territorio e l’inquinamento ambientale».

L’indagine cui si riferisce il presidente di ISDE riguarda un territorio di 20 Comuni tra la Val d’Agri e la Valle del Sauro, in un periodo tra il 2003 e il 2010. Come conferma Giovanni Battista Mele, referente ISDE della sezione di Potenza, i dati ricavati dallo studio sull’area estrattiva lucana hanno portato a evidenziare «un aumento delle patologie tumorali e cardiorespiratorie». In particolare, si tratta di tumori maligni allo stomaco, ma anche infarto, malattie del sistema respiratorio e malattie dell’apparato digerente.

 

Petrolio e tumori in Val d'Agri si muore di più 4I veleni che possono contribuire all’aumento di incidenza delle patologie sono molti. Quello che per ora emerge dall’inchiesta sul centro oli di Viggiano è lo smaltimento illecito di circa 850 mila tonnellate di rifiuti, che farebbero parte del ciclo di desolfurizzazione del petrolio pesante (heavy), così definito per l’alta percentuale di zolfo. La mole di sostanze conterrebbe almeno due sostanze pericolose, da smaltire con modalità diverse da quelle adottate. Si tratta di metildietanollammina e glicole trietilenico, sostanze tossiche per l’uomo. Per ora non vi sono dati sulle emissioni del processo di combustione e gli altri scarti delle lavorazioni petrolifere.

«I fluidi reimmessi, privati della parte viscosa rappresentata dal petrolio, penetrano più facilmente nei terreni contribuendo al loro inquinamento e quindi all’alterazione della catena alimentare», nota Rosanna Suozzi, docente alla facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università di Roma Tor Vergata.

Cambiando l’etichetta ai rifiuti pericolosi, l’Eni avrebbe risparmiato tra i 44 e i 114 milioni di euro, potendo smaltirli nei pozzi di reiniezione Costa Molina 2 e Tenoparco Basento.

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