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Performance climatiche: le brutte pagelle sulle emissioni di CO2

Per il Climate Change Performance Index 2019, le emissioni di CO2 a livello mondiale stanno aumentando anche a causa di una mancata volontà politica di voler eliminare velocemente i combustibili fossili

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Aumentato il divario tra le emissioni di CO2 attuali e quelle necessarie per un percorso ben al di sotto di 2 °C

 

(Rinnovabili.it) – Che le emissioni di CO2 stiano aumentando nuovamente ormai non è più un mistero e a confermare questo trend c’è anche il Climate Change Performance Index 2019 (CCPI), la classifica dei 56 Paesi del mondo e dell’Unione Europea (che insieme rappresentano il 90% delle emissioni globali di CO2) che Germanwatch e NewClimate Institute, insieme al Climate Action Network (CAN), hanno pubblicato a Katowice, dove è in corso la COP 24 sul clima. Strumento importante per una comprensione più chiara della politica climatica nazionale e internazionale, il CCPI valuta fino a che punto i paesi stiano prendendo misure adeguate all’interno delle categorie “emissioni”, “fonti rinnovabili”, “consumo di energia” e “politica climatica”, appunto, per essere in linea con l’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C. Secondo quanto rilevato, solo pochi paesi hanno iniziato a implementare strategie per limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2 o anche di 1,5 °C. Mentre c’è una continua crescita e competitività delle energie rinnovabili, specialmente nei Paesi che avevano in precedenza basse quote, il CCPI mostra una mancanza di volontà politica da parte della maggior parte dei governi per eliminare progressivamente i combustibili fossili con la necessaria velocità. Motivo per cui, nella maggior parte dei casi la valutazione della politica climatica è significativamente inferiore rispetto agli ultimi anni. Le prime 3 postazioni della classifica non sono occupate perché nessuno dei Paesi analizzati eccelle in tutte le categorie.

 

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Il primo Paese più performante è la Svezia, al quarto posto, seguita dal Marocco, che ha aumentato in modo significativo la sua capacità di energia rinnovabile e ha un obiettivo nazionale ambizioso sul clima. L’India guadagna un 11° posto per aver migliorato le prestazioni nelle energie rinnovabili, per i livelli relativamente bassi di emissioni pro capite e un obiettivo di mitigazione relativamente ambizioso per il 2030. La Germania scende dal 22° al 27° posto, piazzandosi tra i paesi a medio rendimento: il Paese mostra una performance relativamente bassa nella categoria delle emissioni e non ha preso decisioni sull’eliminazione del carbone e sulla strategia per decarbonizzare il settore dei trasporti. La Cina sale al 33° posto, per la prima volta nel gruppo dei paesi a medio rendimento, registrando risultati relativamente positivi per quanto riguarda l’andamento delle emissioni dal 2014 al 2016, che però sono tornate ad aumentare di recente; il governo ha inoltre compiuto progressi sulla regolamentazione delle emissioni industriali e su un efficace programma di sostegno alle rinnovabili. Nel gruppo dei paesi con risultati molto bassi troviamo quasi la metà dei paesi del G20: Giappone (49), Turchia (50), Federazione russa (52), Canada (54), Australia (55), Corea (57) e in fondo alla classifica USA (59) e Arabia Saudita (60). Gli Stati Uniti hanno nuovamente perso molti posti a causa del peggioramento delle performance in emissioni di gas serra, energia rinnovabile e consumo energetico; gli esperti hanno giudicato la politica climatica dell’amministrazione Trump molto bassa, ma evidenziano alcuni segnali positivi dovuti all’azione per il clima intrapresa in diversi stati e città e alla promessa dei Democratici di spingere la politica sul clima con la loro nuova maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

 

Ciò che è certo è che, secondo quanto rilevato dal CCPI, il divario tra i livelli di emissione attuali e quelli necessari per un percorso ben al di sotto di 2 °C o anche di 1,5 °C si sta allargando, e stiamo anche assistendo a un crescente divario sulla leadership in un momento in cui i paesi dovrebbero rafforzare il proprio regime climatico. “Sulla base degli sviluppi tecno-economici degli ultimi anni – ha commentato Jan Burck, coautore del CCPIil ritardo nell’attuazione di soluzioni a basse emissioni di carbonio difficilmente può essere giustificato. Nonostante il vertice del G20 abbia mostrato un forte sostegno a 19 paesi per sostenere l’accordo di Parigi, la volontà politica di quei governi di stabilire i giusti quadri e incentivi per la sua attuazione nazionale non si riflette ancora in queste parole”.

 

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