(Rinnovabili.it) – Gli abitanti le chiamano “settima tangenziale”, con uno humour britannico che viene dalla rassegnazione. Le tentacolari discariche che soffocano Pechino stanno crescendo a vista d’occhio, senza che il governo locale abbia ancora una seria politica sui rifiuti. Nella capitale cinese, l’anno scorso sono state raccolte 8,7 milioni di tonnellate di rifiuti domestici, quasi il doppio di dieci anni prima.
Una delle contraddizioni è che rifiuti e riciclo sono settori gestiti e amministrati da due dipartimenti diversi. Lo smaltimento del contenuto dei bidoni della spazzatura è di competenza del Dipartimento di igiene, che fa capo alla Commissione municipale sull’amministrazione comunale e l’ambiente. Tuttavia, il dipartimento non ha tra le sue mansioni quella di raccogliere materiali riciclabili, perché la competenza sul riciclo è della Commissione municipale sul Commercio. La conseguenza è che tutto il contenuto dei bidoni, anche quelli per la raccolta differenziata, viene trattato come rifiuto generico, portato agli impianti di smaltimento per essere bruciato o sepolto in discarica.
A Pechino la questione dei rifiuti ha cominciato ad assumere qualche rilevanza soltanto con le olimpiadi del 2008, quando sono stati lanciati tre programmi pilota sul riciclo. Il governo, però, si è reso subito conto della mancanza di un lavoro di comunicazione e informazione preparatorio, che permettesse alla cittadinanza di familiarizzare con le nuove pratiche. Così, per rimediare, sono nate le figure delle “fasce verdi”, personale formato per fare la guardia ai cassonetti e consigliare i cittadini sul corretto smaltimento.
In una città di 22 milioni di persone, tuttavia, le 20 mila “fasce verdi” hanno poca capacità di incidere. Inoltre, l’amministrazione non aveva fatto i conti con la nota capacità imprenditoriale dei cinesi: molti impiegati hanno smesso di tentare di educare le persone, dedicandosi a separare manualmente la spazzatura per poi vendere i rifiuti già separati ai rigattieri locali, i quali rivendevano ai mercati del riciclo, spazi del tutto “informali” dai quali passa la quasi totalità del materiale smaltito in città.
Molti di questi mercati, che rifornivano gli impianti di trattamento, sono stati chiusi dalle autorità, ma questo ha portato ad un aumento della spazzatura in discarica. Di fronte a una situazione che pare fuori controllo, Pechino ha promesso di riciclare il 100% dei rifiuti domestici entro la fine del 2020. I funzionari affermano che il budget annuale verrà alzato di 300 milioni di euro per migliorare lo smaltimento e lo smistamento. Al momento però, mancano misure punitive per chi non differenzia. Il governo cinese, nel frattempo, ha promesso di investire quasi 30 miliardi di dollari per raggiungere un obiettivo del 35% di riciclo dei rifiuti domestici entro la fine del 2020. Per quella data, dichiara di voler rendere obbligatoria la raccolta differenziata in 46 città, tra cui Pechino. Ma la capitale potrebbe avere bisogno di altre 50 mila “fasce verdi” per raggiungere i target. Sul fronte degli impianti, invece, l’idea è portare gli inceneritori da 4 a 10 entro l’anno prossimo, dopo che i tassi di incenerimento sono quadruplicati in appena un decennio.