Un cielo grigio e denso. Ma soprattutto un’aria soffocante e quasi palpabile dietro cui fa capolino un sole pallido e irreale. Così si presentava Pechino alla fine di gennaio, quando la qualità dell’aria cittadina segnalava concentrazioni di inquinati atmosferici superiori a qualsiasi record negativo mai raggiunto. I dati pubblicati dal Centro di Monitoraggio urbano (www.bjmemc.com.cn) avevano rivelato nella giornata più nera, in alcune stazioni, addirittura una concentrazione di PM2.5 di oltre 600 microgrammi per metro cubo, a fronte dei 20 microgrammi/die che oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indica come limite emissivo di sicurezza. E se i dati su cui fare affidamento fossero stati quelli rivelati dalla stazione di monitoraggio istallata nell’ambasciata americana e gestita direttamente dalle autorità statunitense i 600 microgrammi/m3 sarebbero divenuti per quella stessa giornata 845 microgrammi/m3. Cittadini costretti a rimanere chiusi nelle proprie abitazioni, corsa all’acquisto di mascherine antismog, aeroporti in difficoltà per una visibilità ridotta sotto i 200 m, chiusura di strade e autostrade: la gigantesca cappa di inquinamento ha mandato in tilt la metropoli per diversi giorni.
Che per la capitale, così come per altre grandi megalopoli asiatiche, lo smog fosse il prezzo da pagare per il travolgente sviluppo industriale lo si sapeva ormai da tempo e, complici le Olimpiadi del 2008, anche il mondo occidentale aveva iniziato a prestare attenzione al problema. Ma, come ci spiega Marco Martuzzi, Programme Manager Environment and Health all’OMS, “i dati emersi relativamente all’inizio 2013, così come le immagini, sono sbalorditivi”. “Nonostante alcune controversie e discrepanze fra dati ufficiali o raccolti da entità indipendenti, – afferma Martuzzi – la gravità della situazione è chiara: se i microgrammi per metro cubo di PM2.5 (polveri di diametro inferiore ai 2.5 micron, un millesimo di millimetro) sono 600 o 800, c’è poca differenza, quando il valore limite raccomandato dall’OMS è di 10 (media annua) o 25 (media giornaliera)”.
“IL CIELO NON MENTE, L’UOMO SI !” Martina, italiana trasferitasi a Pechino per lavoro, riassume così, con una frase letta qualche tempo fa in un blog cinese, quei giorni d’allarme e ci racconta lo speciale punto di vista di chi quella foschia grigia l’ha respirata davvero. “Nelle ultime settimane, se non fosse stato per la mia quotidiana sessione di foto nostalgia riportate dai quotidiani del nostro Bel Paese, avrei potuto anche dimenticare quale fosse il colore del cielo”. Il firmamento ora è di nuovo blu ma si fa fatica a credere che sia tornato tutto a posto. Il vento, ci spiega Martina, ha interrotto l’asserragliamento dello smog, aiutato in parte da un’ordinanza municipale che oggi impedisce ad alcuni veicoli di circolare e dall’esodo di massa che si verifica annualmente in occasione del Capodanno cinese, quando centinaia di milioni di persone dalle metropoli tornano nei loro luoghi d’origine. La tregua per gli abitanti arriva soprattutto nel weekend quando molte fabbriche sono chiuse e gli autobus e le macchine dimezzati. Tuttavia parlare di normalità è imprudente e definire il quadro della situazione, anche per chi è lì, non risulta facile; ancora più complesso, forse, risulta comprendere e spiegare come la situazione venga effettivamente percepita per chi lì è nato e vissuto. La preoccupante qualità dell’aria sembra, agli occhi di uno straniero, non destare un’altrettanto preoccupata reazione ma piuttosto una rassegnazione mista ad una certa incoscienza. Basti pensare, continua Martina, che in occasione del capodanno cinese ogni famiglia pechinese ha acquistato una quantità di fuochi d’artificio “sufficienti a festeggiare il nuovo anno per almeno altri 3 lustri” e che hanno invaso le strade cittadine per tutta la notte e la mattina. “Moltiplicate questo avvenimento per almeno 5 giorni e 5 notti e inseritelo in un territorio la cui estensione equivale a quella del Belgio, e forse avrete un’idea di quanto l’aria, il cielo e i nostri polmoni ne abbiano risentito”.
UNA CITTÀ CHE TI RUBA LA VITA Ma cosa vuol dire per il corpo umano essere esposto ad un vero e proprio bombardamento di particolato, biossido di azoto (NO2) e biossido di zolfo (SO2)? Oggi, ci spiega Martuzzi, è possibile quantificare in modo piuttosto accurato la dimensione dell’impatto sulla salute dei livelli di inquinamento da polveri sospese, da sempre il miglior tracciante della qualità dell’aria in ambiente urbano; impatti che vanno dalla mortalità generale, quella per cause cardiorespiratorie, al tumore polmonare, a numerose patologie respiratorie quali l’incremento dell’asma e le broncopneumopatie cronico-ostruttive. “Ad esempio, i livelli di inquinamento osservati nelle città europee creano un aumento di mortalità che si traduce in un accorciamento della vita media degli europei di circa nove mesi”. Nove mesi in meno a causa di esposizioni a medie annuali di poche decine di microgrammi per metro cubo di polveri: quanti anni allora stanno perdendo gli abitanti di Pechino? “Gli effetti osservati negli studi sono proporzionali alle concentrazioni; questo vale anche a livelli molto bassi – non c’e’ infatti una soglia sotto la quale non ci siano rischi. A valori molto elevati, invece, non sappiamo molto. Calcolare in modo affidabile l’impatto sanitario di una tale catastrofe è operazione azzardata, in quanto le conoscenze disponibili vengono da studi per lo più nordamericani ed europei, effettuati osservando popolazioni esposte a livelli ben più bassi”.
Raffreddori, mal di gola, occhi che lacrimano per ore sono i sintomi più evidenti soprattutto per chi come Martina non è nato in tali condizioni di stress ambientale. “Quando torno a casa, passo un batuffolo di cotone imbevuto di detergente sul viso, e bene mi va se devo utilizzarne soltanto uno, dal momento che sulla pelle si crea una patina nera che difficilmente va via. Evito di chiedermi cosa succeda ai miei polmoni, se alla pelle succede questo. Per loro non esiste alcun latte detergente”.