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Olio di palma: multinazionali complici di chi incendia e devasta la foresta indonesiana

La denuncia di Greenpeace International: Unilever, Mondelēz, Nestlé e Procter&Gamble sono alcune delle multinazionali che, acquistando olio di palma - certificato e non - si rendono complici e responsabili della grave deforestazione indonesiana

Olio di Palma
Credit: Greenpeace

Olio di palma e Indonesia: una sostenibilità che è solo di facciata

(Rinnovabili.it) – Tra il primo gennaio e il 22 ottobre 2019, gli incendi che hanno consumato le foreste e le torbiere indonesiane hanno rilasciato circa 465 milioni di tonnellate di anidride carbonica, la stessa quantità di emissioni totali annue di gas a effetto serra prodotte dal Regno Unito. Ma non è stato solo l’ambiente a risentirne. nello stesso, oltre 900 mila indonesiani hanno sofferto di infezioni respiratorie acute a causa della densa nube di cenere e fumo generata dai roghi. Uno dei principali responsabili di questa devastazione è il settore dell’olio di palma: nel triennio 2015-2018, milioni di ettari di foresta tropicali sono stati illegalmente distrutti per fare spazio a nuove piantagioni. I numeri appartengono  al Report “Burning down the house”, pubblicato oggi da Greenpeace International.

 

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Il documento sottolinea come i responsabili di questa situazione non vadano rintracciati solo tra i produttori e i rivenditori dell’olio, ma anche tra chi, da loro, acquista la materia prima necessaria alla produzione dolciaria ed alimentare. Parliamo di multinazionali come Unilever, Mondelēz, Nestlé e Procter&Gamble che, nonostante i ripetuti moniti avanzati dalla quasi totalità delle ONG – Greenpeace ovviamente in prima linea – e nonostante la piena consapevolezza delle proprie azioni, continuano ad acquistare l’olio di palma ottenuto attraverso la devastazione della foresta indonesiana. Basti pensare ad Unilever che, si legge nel report, si è rifornita da produttori ritenuti responsabili della distruzione di un’area di 180 mila ettari tra il 2015 e il 2018, alcuni dei quali sono ora sotto indagine anche per gli incendi di quest’anno. Nel mirino degli ambientalisti anche Wilmar, il principale gruppo agroalimentare asiatico, reo d’essersi affidato a produttori d’olio di palma ritenuti responsabili di aver bruciato un’area di 140 mila ettari tra il 2015 e il 2018 e di aver provocato circa ottomila roghi nel 2019.

 

Negli ultimi dieci anni, multinazionali e operatori di materie prime si sono impegnati a porre fine alla deforestazione entro il 2020. Ma dal 2010 la produzione e il consumo di prodotti agricoli legati alla deforestazione – tra cui l’olio di palma, utilizzato sempre più anche per la produzione di biodiesel – sono aumentati vertiginosamente e continuano ad aumentare. La sostenibilità sembra solo una parola di facciata” ha dichiarato Martina Borghi, Campagna Foreste di Greenpeace Italia. “I produttori responsabili degli incendi e le società che ne traggono benefici economici devono essere ritenute responsabili di questa devastazione ambientale e dei gravissimi impatti sulla salute e sul clima causati dagli incendi”.

 

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Il rapporto evidenzia anche come, paradossalmente, due terzi dei produttori responsabili di simili devastazioni siano anche membri della Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (RSPO), un ente che, in teoria, dovrebbe certificare la sostenibilità di alcune filiere produttive dell’olio di palma.  “I grandi commercianti di materie prime agricole e le multinazionali che le acquistano devono agire immediatamente per ripulire le proprie filiere dalla deforestazione, senza nascondersi dietro false etichette di sostenibilità. Anche i governi nazionali e l’Unione europea giocano un ruolo fondamentale: è indispensabile una normativa che garantisca che il cibo che mangiamo e i prodotti che utilizziamo non vengano prodotti a scapito dei diritti umani e delle foreste del Pianeta” ha concluso Borghi.