L’olio di palma minaccia la biodiversità tropicale, ma le colture alternative non sono la soluzione
(Rinnovabili.it) – I nuovi divieti all’utilizzo dell‘olio di palma potrebbero non essere in grado di arrestare la deforestazione. Al contrario è probabile si limitino a spostare il problema da una zona all’altra del pianeta. A sostenerlo è l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera. Nel suo rapporto Palm Oil and Biodiversity, presentato oggi a Parigi, l’ONG sottolinea l’effetto dannoso che le coltivazioni intensive di olio di palma stanno avendo sulla natura. La palma fornisce un terzo dell’olio vegetale mondiale usando meno del 10% della terra destinata a livello globale alle colture oleaginose: l’olio è utilizzato in una vasta gamma di prodotti alimentari e consumato dalla metà della popolazione mondiale, con un quarto della produzione destinato alla produzione di cosmetici, prodotti per la pulizia e biocarburanti.
Queste piante sono coltivate soprattutto nei tropici – principalmente in Malesia e Indonesia– in zone ricche sotto il profilo della diversità biologica. Oggi l’industria associata minaccia la sopravvivenza di oltre 190 specie, tra cui oranghi, gibboni e tigri e con l’aumento dei consumi le aree di coltivazione potrebbero ulteriormente estendersi. Eppure, si legge nel documento, se ci si dovesse limitare a sostituire l’olio di palma con altre colture oleaginose, il danno potrebbe semplicemente spostarsi verso altri ecosistemi come le foreste tropicali e le savane dell’America del Sud. E dal momento che la maggior parte di colture alternative richiede fino a nove volte più terra, la minaccia potrebbe essere anche più profonda. “L’olio di palma sta decimando la ricca diversità biologica del Sud-est asiatico, consumando fasci di foresta tropicale”, ha detto in una nota Erik Meijaard, autore principale e presidente della task force Oil Palm della IUCN. “Ma se verrà sostituito da aree molto più grandi coltivate a colza, soia o girasole, soffriranno ecosistemi naturali e specie diverse”.
Ecco perché, per l’ONG, le soluzioni devono necessariamente concentrarsi su una migliore pianificazione delle piantagioni di palma per evitare la rimozione di foreste tropicali o torbiere e una migliore gestione delle zone boschive lasciate intatte dalle coltivazioni, note come set-asides. Va poi rivisto il sistema di certificazione dell’olio di palma sostenibile. “La certificazione non è affatto buona come dovrebbe essere. Ma siamo ancora convinti che sia l’unico modo oggettivo in cui possiamo giudicare se l’olio di palma aderisca a determinati principi. L’ente di certificazione deve essere potenziato e migliorato”.