(Rinnovabili.it) – Ciascuno per le proprie ragioni, ma sulla revisione della direttiva OGM proposta dalla Commissione tutti i gruppi del Parlamento Europeo si sono detti contrari. I coordinatori dei gruppi parlamentari si sono accordati sul da farsi, decidendo per una bocciatura della modifica proposta dall’esecutivo europeo dell’attuale sistema di autorizzazione dei prodotti OGM. Essa consentirebbe agli Stati membri di adottare misure di opt out nazionali per OGM avallati a livello comunitario.
I coordinatori dei gruppi parlamentari hanno deciso di nominare come relatore il presidente della Commissione Ambiente (ENVI), l’italiano Giovanni La Via (Ncd/Ppe), che avrà il compito di respingere la proposta. La relazione di La Via che motiva la bocciatura è attesa per metà luglio, mentre il voto in plenaria dovrebbe tenersi ad ottobre.
La trappola della riforma: un divieto che non è un divieto
L’Europarlamento fila dunque a tutta birra verso lo scontro con la Commissione, come conferma lo stesso relatore in pectore, Giovanni La Via: «L’orientamento dei gruppi è quello di respingere la proposta. Un mercato interno a macchia di leopardo sarebbe un mercato interno in cui non avremmo l’industria mangimistica in alcuni Paesi, perché senza proteine vegetali, oggi quasi esclusivamente OGM, non avremmo un’industria mangimistica».
Se agli eurodeputati importa poco cosa mangiano i cosiddetti “animali da reddito”, pesa di più sul loro consenso elettorale quel che finisce nello stomaco dei cittadini. E le vere ragioni dietro la bocciatura della riforma proposta da Bruxelles sono altre: infatti, il piano della Commissione, per quanto preveda dei divieti locali per OGM già autorizzati a livello UE, fa paura. E fa paura per come potrebbe essere implementato. Il divieto di OGM nei prodotti alimentari, infatti, sarebbe solo sul loro utilizzo, non sulle importazioni. A causa delle regole del mercato unico, che prevedono la libera circolazione delle merci in tutte l’Unione, ingredienti geneticamente modificati o alimenti a base di OGM non possono essere bloccati a livello nazionale. Paradossalmente, uno Stato membro che decidesse di porre il veto, non saprebbe poi come farlo rispettare, dovendo muoversi in una cornice normativa che non prevede la possibilità di chiudere le frontiere a prodotti autorizzati dall’UE. Dovrebbero pertanto restare nei container? Nei magazzini? O forse accadrebbe che, alla fine, il governo contrario sarebbe obbligato a consentirne comunque la messa sul mercato?
Tuttavia, anche bocciando la proposta di riforma della Commissione Europea, gli Stati membri non cambiano la vita dei cittadini, semplicemente scaricano su Bruxelles tutte le responsabilità.
L’inerzia politica sugli OGM
Il tema degli OGM scatena infatti grandi divisioni politiche in Europa e ci sono, grosso modo, tre gruppi di Paesi con opinioni differenti: uno è irrevocabilmente contrario, il secondo si fonda sulle valutazioni dell’EFSA (quindi è sempre favorevole) e il terzo si astiene tutte le volte. La maggioranza qualificata, necessaria per stabilire una posizione ufficiale a livello europeo, non viene quasi mai raggiunta. Così, per regolamento, la palla torna alla Commissione, che sempre per regolamento constata la mancanza di una linea comune e concede l’autorizzazione.
In pratica si avalla, per via tecnica, tutto ciò su cui la politica non riesce a mettersi d’accordo (come è accaduto ad aprile). Gli Stati possono continuare ad accusare Bruxelles di dittatura tecnocratica e lavarsi la coscienza: a rimetterci saranno, come sempre, i cittadini.