(Rinnovabili.it) – A minacciare il prezioso equilibrio dei mari del pianeta non c’è solo la pesca eccessiva e l’apparentemente inarrestabile processo di acidificazione delle acque. Ogni giorno il crescente numero di rifiuti plastici che confluisce negli oceani rappresenta un rischio costante per la salute degli ecosistemi. Un rischio che non smette di rivelare sfaccettature preoccupanti come dimostrato da un team di biologi statunitensi. I ricercatori della San Diego State University hanno scoperto che le minuscole particelle plastiche sono in grado di assorbire gli inquinanti organici persistenti (POP) alla stregua di piccole spugne.
Nel dettaglio il lavoro di ricerca si è concentrato sulla misurazione dell’assorbimento dei bifenili policlorurati (PCB) e degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) da parte dei cinque più comuni tipi di materia plastica: il PET, il polietilene ad alta densità (quello delle bottiglie di detersivo), il PVC, il polietilene a bassa densità (quello dei sacchetti di plastica) e il polipropilene (contenitore di yougurt). Dall’indagine svolta risulta che i rifiuti a base di polietilene e polipropilene rappresentino un rischio maggiore per gli animali marini (e presumibilmente le persone che li mangiano) rispetto ai prodotti a base di PET e PVC. I frammenti di queste plastiche assorbono infatti una grande quantità di agenti contaminanti e lo fanno su un lungo periodo di tempo (anche oltre 40 anni). La preoccupazione, ovviamente, è che gli animali marini mangino queste spugne tossiche, influenzando negativamente la salute dell’intero ecosistema. La ricerca è stata condotta per oltre un anno in cinque sedi differenti della Baia di San Diego con l’utilizzo di palline di plastica immerse in acqua e recuperate periodicamente per misurare l’assorbimento.