L’attuazione dell’accordo di Parigi sul clima potrebbe aumentare l’occupazione dell’UE dello 0,5%
(Rinnovabili.it) – L’impegno nella lotta climatica fa bene all’economia. A sostenerlo è Eurofound, fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. L’agenzia ha pubblicato ieri il rapporto (pdf in inglese) sulle implicazioni della transizione energetica a livello occupazionale rivelando i benefici legati al raggiungimento di un’economia a basse emissioni. Secondo l’analisi, infatti, raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima permetterà, soprattutto all’Europa, di far crescere PIL e posti di lavoro; per il vecchio Continente si parla, rispettivamente, del più 1,1% e più 0,5% entro il 2030 rispetto a uno scenario “as usual”.
Il motivo? Per gli autori la causa è principalmente attribuibile all’attività di investimento richiesta per raggiungere tale transizione, insieme all’impatto di minori spese sull’importazione di combustibili fossili. Ovviamente gli impatti variano notevolmente tra settore e settore. Ad esempio, si prevede una perdita di posti di lavoro nell’estrazione e nella lavorazione di combustibili fossili, ma un guadagno nel comparto edile e nella produzione di apparecchiature per l’energia rinnovabile e per l’efficienza energetica, insieme alle catene di approvvigionamento associate.
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A livello nazionale, lo studio prevede che la Lettonia, Malta e il Belgio subiranno il maggiore impulso sul PIL. Per la prima, il report cita addirittura di un più 6%, determinato in gran parte dagli investimenti in efficienza energetica. Il Belgio è anche nella rosa di Paesi che beneficerebbe di un aumento dei posti di lavoro, soprattutto in settori ad alta intensità di manodopera come la vendita al dettaglio, l’ospitalità e la ristorazione, seguito da Spagna e Germania.
L’Italia è in linea con il dato UE complessivo sul fronte dell’occupazione mentre appare di poco sotto la media per quanto riguarda il Pil.
Vanno tuttavia fatte delle precisazioni e sono gli stessi autori a avanzarle. “Queste proiezioni dipendono da ipotesi di modellizzazione, alcune delle quali hanno importanti implicazioni politiche. In primo luogo, il modello non presuppone frizioni nel mercato del lavoro. In particolare, si presume che la forza lavoro si adatti al cambiamento strutturale dei requisiti di abilità associati alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio”. In realtà più rapido sarà il cambiamento, più è probabile che ci possano essere attriti in grado di generare disoccupazione o mancanza di competenze.
“Inoltre, l’investimento richiesto presuppone che non vi siano ostacoli all’accesso ai finanziamenti necessari per questa transizione. Infine, si presume che i paesi che attualmente hanno un vantaggio in alcuni settori siano in grado di mantenerlo quando si passa a nuove tecnologie; per esempio, i principali produttori di auto e camion convenzionali dovrebbero divenire le case principali dei veicoli elettrici e dei loro componenti”.