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Oltre 750 navi smaltite nel 2015 tra sangue e inquinamento

Molti armatori continuano a spedire le navi a fine vita sulle coste dell’Asia meridionale, dove vengono smontate dai bambini in mezzo all'inquinamento

Oltre 750 navi smaltite nel 2015 tra sangue e inquinamento

 

(Rinnovabili.it) – Gli armatori continuano a fare profitti sulla pelle dei bambini e delle popolazioni più povere che abitano le coste dell’Asia meridionale, rendendosi responsabili di inquinamento ambientale e violazioni dei diritti. Lo dimostrano i dati raccolti dall’NGO Shipbreaking Platform, la piattaforma di organizzazioni non governative che tenta di sollevare il problema delle atroci pratiche di demolizione delle imbarcazioni.

Nel 2015, secondo il gruppo, 768 grandi navi oceaniche sono state vendute ai cantieri di demolizione: 469 sono finite sulle spiagge di India, Pakistan e Bangladesh, dove il processo non rispetta i diritti fondamentali del lavoro, il diritto commerciale in materia di rifiuti e tantomeno le norme internazionali di tutela ambientale.

 

L’esplosione di una bombola di gas a Shitol Enterprise (Bangladesh), che ha ucciso 4 persone ferendone altre 4, è solo uno dei tanti incidenti che hanno ucciso o mutilato i lavoratori sfruttati nei cantieri lo scorso anno. La nave che stavano smontando è stata venduta al cantiere dalla compagnia di navigazione greca Universal Ship Management Corporation. Gli armatori greci hanno il primato assoluto del numero di imbarcazioni a fine vita (76) inviate ai siti di demolizione più pericolosi dell’Asia meridionale. Per la prima volta in molti anni, il Bangladesh è stata la prima destinazione al mondo per natanti da smaltire. Gli italiani si piazzano al quinto posto fra gli europei, con quattro imbarcazioni (degli armatori Ignazio Messina, Grimaldi Group e Cafiero Mattioli) arenate in Asia, dopo Germania (23), Gran Bretagna (10) e Cipro (5).

 

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«Nonostante la grande attenzione internazionale sui problemi della demolizione delle navi in Asia del Sud, le statistiche per il 2015 mostrano che la stragrande maggioranza degli armatori non hanno migliorato le loro pratiche – ha detto Patrizia Heidegger, direttrice di NGO Shipbreaking Platform – Al contrario, la maggior parte ha optato per una delle peggiori destinazioni in tutto il mondo, il Bangladesh, dove i bambini vengono ancora illegalmente sfruttati per demolire le navi manualmente su litorali fangosi».

 

Il meccanismo è ben oliato: gli armatori vendono le navi a cantieri dell’Asia meridionale tramite intermediari che le acquistano in contanti. Si tratta di aziende specializzate nel commercio imbarcazioni a fine vita. Queste riescono a pagare agli armatori il prezzo più alto, ma soprattutto gli permettono di liberarsi della responsabilità di affrontare la gestione corretta del fine vita. Le navi-rottame contengono grandi quantità di materiali tossici come fanghi petroliferi, amianto e vernici cariche di metalli pesanti. Il lavoro necessario per ripulire le carcasse in sicurezza costerebbe più dello smaltimento illegale. Per questo pugno di dollari, gli armatori scommettono volentieri sulla pelle dei bambini.