2010/2010 dieci anni dedicati alla Biodiversità
Dopo quasi 20 anni di negoziati tortuosi, dibattiti includenti e risultati poco soddisfacenti, sarà proprio l’International Year of Biodiversity a sancire l’inizio di una nuova era per il patrimonio biologico terrestre. Gli oltre 18.000 partecipanti che rappresentano le 193 parti della Convenzione sulla Diversità Biologica hanno chiuso il vertice Onu di Nagoya con l’adozione di un nuovo Protocollo con cui affrontare a livello globale la continua perdita di biodiversità, quest’ultima intesa come diversità genetica, di specie e di ecosistemi. Un’accordo storico e senza precedenti, per usare le stesse parole di rappresentanti delle Nazioni Unite al summit giapponese, padre di un pacchetto di misure concordate dai governi di tutto il mondo per garantire che i biosistemi del pianeta continuino ad alimentare il benessere umano.
La decima riunione della Conferenza delle Parti ha dunque colpito nel segno e nei 12 giorni di incontri e dibattiti sono stati raggiunti tutti e tre gli obiettivi che il mondo attendeva: l’adozione di un nuovo Piano Strategico decennale che guidi gli sforzi nazionali e internazionali verso gli obiettivi della Convenzione entro il 2020; una strategia di mobilitazione delle risorse che offra la via da seguire per un aumento sostanziale degli attuali livelli di aiuto pubblico nei confronti della biodiversità; un nuovo protocollo internazionale di accesso e condivisione dei vantaggi derivanti dall’uso delle risorse genetiche del pianeta (ABS Protocols). Tre punti fondamentali che conferiscono al nuovo accordo un valore unico e che rendono più che soddisfatto il ministro dell’Ambiente giapponese e presidente della COP-10, Ryu Matsumoto: “Il risultato di questo incontro è il frutto di un duro lavoro, della disponibilità al compromesso e della preoccupazione per il futuro del nostra pianeta. Con questo importante risultato forte, possiamo iniziare il processo di costruzione di un vero rapporto d’armonia con la Terra”.
Le falle di un Pianeta sotto stress
Ad attribuire una particolare importanza all’intesa anche le aspettative che gravavano sul meeting di Nagoya visto il quanto mai delicato stato di salute del Pianeta. Dal 1970, riporta l’ultimo Living Planet Report del Wwf, le specie animali del pianeta sono diminuite del 30%, con picchi ai tropici del 60% e fino al 70% per le specie di acqua dolce, il tasso più alto tra tutte le specie terrestri e marine considerate. Driver di questo processo carenziale sono innanzitutto la frammentazione degli habitat, il loro degrado e distruzione innescati dal cambio d’uso dei terreni accanto alla diffusione di specie invasive, l’inquinamento causato dagli scarichi agricoli, l’aumento dello stress idrico e il crescente impatto del cambiamento climatico, tutti fattori di pressione da cui non è esente neppure l’Europa. Come ha rivelato “l’Assessing biodiversity in Europe – the 2010 report“dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, nonostante l’impatto positivo di alcune misure di protezione, gran parte degli habitat e delle specie comunitarie si trovano ancora uno status di conservazione sfavorevole, segno inequivocabile di un’azione carente anche a livello di quei territori con una disponibilità economica superiore.
Non meraviglia allora che il vertice nipponico abbia catalizzato l’attenzione mondiale, riuscendo a coinvolgere addirittura Hollywood. Sulla questione sono infatti intervenuti nomi del calibro di Don Cheadle, la star di Hotel Rwanda ora anche ambasciatore dell’Unep, e Harrison Ford, presente in Giappone in vicepresidente nel Consiglio di Amministrazione di Conservation International.
E i 12 giorni di incontri sono stati forieri anche d’importanti impegni e progetti come quello annunciato dalla “Banca Mondiale”: per fornire i paesi più sensibili alla perdita della biodiversità degli strumenti necessari per integrare nei sistemi di contabilità nazionale i vantaggi economici offerti da ecosistemi come foreste, zone umide e barriere coralline.
Protocollo di Nagoya: tre obiettivi, una meta
Superata la paura che il summit si rivelasse agli occhi del mondo come una ‘Copenhgen-bis’, Nagoya ha saputo centrare tutti e tre i temi primari in agenda, a partire dall’adozione del *Piano d’azione Strategico* della Convenzione sulla diversità biologica, soprannominato anche *_Aichi Target_* dal nome della Prefettura giapponese dove si trova Nagoya. Al suo interno una ventina di obiettivi principali organizzati in cinque punti strategici: identificare le cause alla base della perdita di biodiversità, ridurre lo stress esistente, tutelare il patrimonio biologico a tutti i livelli, incrementarne i benefici e potenziarne le capacità. Nel concreto, le parti, impegnandosi a tradurre l’Aichi Target in piani d’azione nazionali entro due anni, hanno accettato di dimezzare e, ove possibile portare vicino a zero, il tasso di perdita degli habitat naturali, foreste comprese, portare al 17% la quota delle aree terrestri protette e al 10% quella delle zone marine e costiere e ripristinare almeno il 15 per cento delle aree degradate.
Accordo anche su uno dei punti più controversi delle due settimane di negoziati, vale a dire la ripartizione dei vantaggi derivanti dal patrimonio genetico ( *_protocollo ABS_* – Access and Benefit Sharing). Le parti hanno concordato sulle regole in base alle quali i derivati, le sostanze e i composti derivati dalle risorse genetiche di animali, piante e microrganismi dovranno essere trattati; un regime di condivisione equa che permetterà d’ora in poi ai Paesi ricchi in biodiversità di poter condividere quei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse naturali prima appannaggio solo delle multinazionali.
Visita il sito delle Nazioni Unite: 2010-2020 Decade della Biodiversità
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