Nuovo capitolo della XXIX Campagna Antartica italiana promossa nell’ambito del Pnra. Il "Diario di un ricercatore" ci porta stavolta sull'immensa distesa di ghiaccio marino che costituisce il pack antartico
Solo vivendolo quotidianamente mi sono reso conto dell’infinite possibilità che il ghiaccio ha di mostrarsi in tutta la sua gelida bellezza.
La prima volta che ho intravisto dall’oblò dell’Hercules la distesa di ghiaccio della calotta polare, durante il trasferimento dalla nuova Zelanda all’Antartide, ho avuto la netta sensazione di essere arrivato su un altro pianeta. Il bianco paesaggio senza fine ha rapito immediatamente la mia mente nel tentativo di immaginare le sensazioni che avrei provato durante le escursioni lavorative sul mare ghiacciato antartico.
Ieri finalmente, dopo aver passato alcuni giorni ad allestire i laboratori necessari per preparare ed analizzare i campioni biologici delle nostre ricerche (delle quali vi racconterò più avanti), abbiamo programmato la prima perlustrazione in elicottero delle aree di campionamento per decidere le esatte posizioni dove, nei giorni successivi sul pack, dovremmo eseguire i fori nel ghiaccio. Lo spessore del ghiaccio in questa stagione raggiunge circa i 220 centimetri e dobbiamo capire se sarà necessaria la trivella a motore o basteranno le trivelle a mano.
Durante la sera, infatti, è stata organizzata la riunione di tutto il personale scientifico per organizzare ed ottimizzare le attività di ricerca della settimana. Successivamente, sulla base delle diverse proposte si è riunito anche il personale logistico che dovrà organizzare e supportare tutte le attività dal punto di vista logistico, tecnico e di sicurezza. Partenza, per le cinque persone del gruppo con le quali condividerò il lavoro di campo, schedulata per le ore otto.
La mattina seguente dalla sala operativa arriva l’annuncio per il nostro team di recarsi con il materiale presso l’helipad per l’inizio della prima missione sul pack. Il survey prevede una serie di voli e soste per visitare le potenziali aree di campionamento denominate Gerlache Inlet, Silverfish Bay e Cape Washington. Il primo volo in elicottero non si scorda mai. In un attimo mi trovo a bordo e faccio fatica, con tutta la roba che ho addosso (tuta antartica, zainetto con macchine fotografiche e go-pro in mano) a trovare le cinture di sicurezza, che gentilmente mi vengono fornite insieme alla cuffia da Robert, il mitico pilota Neozelandese che insieme a Ben (l’altro giovane pilota) ci accompagnerà durante le nostre escursioni sul “sea ice”, come lo chiamano loro.
Sento il rumore e i giri delle pale che aumentano vertiginosamente e in un attimo ci alziamo in volo, sorvoliamo la base e ci troviamo direttamente sul pack che da questo punto di vista privilegiato ci appare in tutta la sua straordinaria bellezza. Rimaniamo in silenzio ad ammirare lo spettacolo delle catene montuose innevate, dei ghiacciai e degli iceberg rimasti incastrati nel mare ghiacciato che lentamente ci passano sotto. Ci rendiamo conto di essere sopra ad un mare quando scopriamo che vicino ad alcune spaccature evidenti del pack ci sono dei “corpi scuri” di grandi dimensioni disposti in entrambi i lati dei crepacci.
In un momento in cui l’elicottero scende di quota ci accorgiamo che le macchie scure non sono altro che foche che hanno approfittato per uscire e a godersi il calore del sole. La luce che ci circonda è incredibilmente forte, il sole si riflette in un mare bianco ghiaccio che riverbera luce in ogni direzione. La superficie del pack cambia colore in base al punto di osservazione e a volte sembra mobile, addirittura in certi momenti, ci sembra di vedere delle onde… di sorvolare un mare liquido… ma è ovviamente… solo un’illusione.
Dopo circa 15 minuti di volo il pilota si ferma direttamente sul mare ghiacciato nelle vicinanze del fronte di un ghiacciaio. Scendiamo per valutare lo stato del pack e visionare da vicino i punti dove praticare i fori di campionamento.
Scarichiamo tutta l’attrezzatura e ci mettiamo nella posizione adeguata per permettere la ripartenza dell’elicottero e ripararsi dalla neve che le pale alzano durante l’ascesa. Una nube freddissima e i cristalli di ghiaccio lanciati a forte velocità colpiscono la faccia e ci viene istintivamente da chiudere gli occhi anche se vorremmo continuare a guardare la manovra di decollo dal ghiaccio.
Riapriamo gli occhi e ci troviamo in un attimo in un bianco assordante silenzio. Erano anni che non sentivo un’assenza di rumore così pura. Ci guardiamo intorno e parte dell’orizzonte ci appare come un piatto deserto bianco senza fine interrotto, ogni tanto, dalla sagoma di qualche iceberg. Dietro di noi le catene montuose fanno da cornice naturale alla baia completamente ghiacciata sulla quale si affaccia il ghiacciaio con il suo poderoso fronte alto diverse decine di metri. Di fronte a noi, ad una distanza difficilmente quantificabile si staglia un’enorme iceberg colorato di azzurro.
In Antartide le distanze sono un concetto assolutamente soggettivo. Non è facile stimarle con credibilità a causa della mancanza di riferimenti. Avremo la conferma di questa difficoltà non appena terminati i rilievi tecnici ed i primi sondaggi con le trivelle a mano dei punti di campionamento. Concordiamo infatti di raggiungere a piedi l’iceberg azzurro che sembra veramente a due passi.
Dopo circa venti minuti di cammino su una distesa levigatissima azzurro ghiaccio ricoperta da macchie di sale ci rendiamo conto che il ghiacciaio è ancora lontano e decidiamo di accatastare tutta l’attrezzatura (borse di sicurezza, trivelle, zaini, bidoni per campionamento ecc.) e proseguire senza troppo peso.
Arrivati sotto al grande monolito di ghiaccio lo spettacolo lascia tutti senza fiato.
Sarei rimasto ore a scoprire le infinite inquadrature per poter scattare le foto migliori ma purtroppo il tempo stringe e dobbiamo tornare al punto in cui l’elicottero verrà a riprenderci. Arrivati alle coordinate previste per il recupero ho ancora il tempo di scattare con un buon teleobiettivo alcune immagini al fronte del ghiacciaio che sembra vivo. Si vedono infatti frane e crolli di ghiaccio e si sentono in lontananza i rumori del ghiacciaio che comincia a sentire l’influenza della primavera antartica. La giornata prosegue con le altre soste nelle aree di sopralluogo e durante l’ultima, quella più vicina alla base (Gherlache Inlet) decidiamo di verificare la situazione del ghiaccio vicino alla spaccatura del pack.
L’elicottero atterra ad una distanza di sicurezza e noi accompagnati dal nostro incursore ci dirigiamo vicino alla spaccatura dove oltre all’acqua che affiora ci sono numerose foche con i piccoli. La nostra presenza non le disturba affatto…anzi alcun cuccioli incuriositi si dirigono verso di noi seguiti dalla femmina. Il tempo di verificare con le trivelle lo stato del ghiaccio e la nostra prima giornata di lavoro all’esterno volge al termine. Durante il volo di ritorno rivedo la fila di foche distese al sole vicino al grande crepaccio e non mi sembra vero di esserci appena stato, controllo la macchina fotografica e rivedo gli scatti: è tutto vero, ne ho le prove.
Atterrati in base ci aspetta il quotidiano incontro serale con la sala operativa per programmare le attività del giorno successivo che prevedono un giro di campionamento presso le principali colonie di Pinguini di questa zona. Ma di questo ne parleremo la prossima volta, ora ci aspetta una doccia e bella cena nel “ristorante” della base prima di crollare nei nostri alloggi.
di Marco Faimali (ISMAR-CNR) – Progetto RAISE – PNRA – XXIX Campagna Antartica