(Rinnovabili.it) – Il clima sta costringendo milioni di persone ad abbandonare le proprie case. In soli sei anni, fenomeni meteorologici estremi come alluvioni, siccità e tempeste hanno costretto oltre 150 milioni di persone ad una migrazione forzata, e lasciato dietro di sé un numero di vittime troppo alto per essere contato. Lo vediamo quasi ogni anno oramai con i tifoni che devastano le Filippine, lo vediamo con le ondate di caldo che hanno massacrato nel 2015 paesi come l’India e il Pakistan e con le alluvioni che non stanno risparmiando nessuno. A farci riflettere sul rapporto esistente tra migrazioni e cambiamento climatico è oggi l’omonimo rapporto redatto da CeSPI, FOCSIV e WWF.
Rilasciato ormai quasi alla vigilia della COP21 di Parigi, il documento analizza da vicino l’impatto del climate change sugli spostamenti forzati di quelli che già oggi vengono ribattezzati “migranti climatici“. Nel dettaglio gli autori hanno individuato 5 “forme” di spostamento: migrazioni di carattere internazionale; a carattere permanente e di spostamento di interi nuclei familiari; sfollati interni e profughi a livello internazionale a causa di calamità naturali improvvise (il caso limite delle piccole isole del Pacifico, Kiribati o Tuvalu); ricollocazione di intere comunità per ridurre la loro esposizione a grandi rischi naturali e climatici.
A questa complessità di forme corrisponde anche una complessità di possibili cause, dove le vittime più probabili sono però, spesso e volentieri, i paesi e le fasce della popolazione più povere. Gli autori hanno individuato i meccanismi attraverso i quali il cambiamento climatico produce un impatto sulle migrazioni: aumento delle temperature dell’aria e della superficie dei mari, cambiamento delle precipitazioni (frequenza, intensità); innalzamento del livello dei mari causato dalla fusione dei ghiacci; eventi “regionali” come Nino e monsoni asiatici stanno portando all’intensificazione della competizione tra popolazioni, Stati e imprese per il controllo e l’utilizzo delle risorse naturali che potrebbe causare conflitti e quindi provocare migrazioni forzate.
Se la temperatura globale raggiungesse i 4°C, in alcune regioni del mondo l’aumento sarebbe molto più consistente: i modelli indicano come regioni a maggior rischio il Mediterraneo, il Nord Africa e il Medio Oriente, ma anche i paesi dell’America Latina e i Caraibi.
Se si prendono, invece, in esame altri fattori, come l’innalzamento dei mari, le regioni più colpite dal punto di vista economico e di benessere potrebbero essere quelle settentrionali dell’Europa Centrale, il Sud Est Asiatico e l’Asia Meridionale. O ancora, l’acidificazione degli oceani e dei mari avrà conseguenze soprattutto per quelle popolazioni la cui vita dipende dagli ecosistemi marini.
Danni diffusi e conseguenze drammatiche facili da prevedere, e anche se non è possibile calcolare il numero esatto di quelli che saranno i migranti climatici, secondo l’Internal Displacement Monitoring Agency oggi le persone hanno il 60% per cento in più di probabilità di dover abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975.
Ecco perché CeSPI, FOCSIV e WWF Italia chiedono alle istituzioni e propongono alla società civile una riflessione sugli strumenti legali internazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi, ma riconosca i diritti a chi fugge dai sempre più frequenti disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici; occorre creare nuovi regimi dei flussi a livello regionale fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti, integrati nei piani di adattamento al cambiamento climatico.