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I guerrieri dell’arcobaleno a caccia di microplastiche nel Mediterraneo

La Rainbow Warrior (foto di Lorenzo Moscia -Greenpeace)

microplastiche nel Mediterraneo
La Rainbow Warrior (foto di Lorenzo Moscia – Greenpeace)

 

(Rinnovabili.it) – Ci sono dei nuovi “guerrieri” a bordo della nave ammiraglia di Greenpeace e non sono ecologisti ma ecologi. A bordo della Rainbow Warrior, in questi giorni in navigazione lungo le coste italiane, ci sono infatti i nostri ricercatori impegnati in una sorprendente azione di sensibilizzazione e ricerca scientifica.

Ha preso il via dalla Liguria la tappa italiana del tour “Meno plastica, più Mediterraneo” che Greenpeace sta effettuando in Europa meridionale con la collaborazione scientifica dell’Istituto di Scienze Marine del CNR di Genova, dell’Università Politecnica delle Marche e con la partecipazione della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, per raccogliere dati e testimonianze dirette sull’inquinamento da plastica che affligge i nostri mari e per informare l’opinione pubblica su questo grave problema.

 

“Meno plastica, più Mediterraneo”, il tour di Rainbow Warrior di Greenpeace con ISMAR e CNR

 

Il via ufficiale al tour italiano è stato dato a Genova il 23 Giugno durante una conferenza stampa in cui ecologisti ed ecologi hanno siglato un patto di collaborazione per affrontare uno dei problemi globali che il nostro pianeta deve affrontare: le microplastiche.

Una fantastica opportunità di ricerca congiunta per andare a caccia dei microframmenti (anche mille volte più piccoli del millimetro) che avvelenano il mare nostrum e comprendere meglio la diffusione e l’impatto di questo inquinante emergente sul più importante ecosistema del nostro territorio.

Secondo dati diffusi da Greenpeace, nel Mediterraneo, circa il 96 per cento dei rifiuti galleggianti è composto da plastica. Un problema che purtroppo non interessa solo la superficie, rifiuti in plastica sono stati ritrovati anche a più di tremila metri di profondità. I livelli di accumulo di questo materiale nel Mediterraneo sono comparabili a quelli delle “zuppe di plastica” oceaniche, erroneamente note come “isole di plastica”. I ricercatori del CNR-ISMAR e degli altri Enti coinvolti, insieme all’equipaggio di Greenpeace, effettueranno durante tutto il percorso dei campionamenti di acqua, plancton, pesci e invertebrati per verificare la presenza e la tipologia di microplastiche nell’ambiente e nella catena trofica marina.

 

microplastiche nel mediterraneoLa nave, nei giorni precedenti alla partenza, è stata in porto a Genova dove sono state organizzati tanti eventi di divulgazione scientifica e informazione per i cittadini, che hanno avuto anche la possibilità di salire a bordo. In particolare, oltre ai laboratori didattici sull’impatto delle microplastiche, durante le attività “Open-Boat” della Rainbow Warrior, il CNR-ISMAR ha organizzato, in collaborazione con la cooperativa Ziguele, una particolare attività di divulgazione scientifica dal titolo ”UnderWaterfront: viaggio nella vita sommersa del porto di Genova”.

Grazie a un’innovativa tecnologia di trasmissione del segnale video e audio, un operatore subacqueo in immersione ha inviato in diretta, nel grande schermo allestito davanti alla nave ormeggiata nel Porto di Genova, immagini e suoni documentando le associazioni biologiche più caratteristiche e peculiari che colonizzano i fondali e le infrastrutture sommerse di un porto. Anche i partecipanti hanno potuto interagire con l’operatore subacqueo, ascoltando la sua voce e guidando le riprese video creando così un vero e proprio “documentario in diretta” della biodiversità marina del porto di Genova. E’ stata una sorpresa collettiva scoprire che, contrariamente a quanto si possa immaginare, anche nelle scure acque di un porto esista una sorprendente attività biologica che merita di essere documentata e conosciuta.

Ora la nave è in navigazione verso Ancona, ma la scorsa settimana ha fatto tappa a Napoli, ormeggiando per due giorni al molo caligoliano di Pozzuoli, dove sono stati nuovamente organizzati diversi eventi e attività di informazione per i cittadini che hanno visitato la Rainbow Warrior.

 

Quello che cerchiamo di trasmettere è un concetto chiave sul quale dobbiamo meditare: il vero problema non è la plastica ma solo il modo in cui la nostra specie la usa.

Siamo tutti inconsapevolmente potenziali inquinatori durante le nostre quotidiane attività. Queste campagne devono servire, oltre che alla ricerca scientifica, anche ad aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sul problema delle microplastiche in mare. Solo in questo modo potremo fare insieme pressione per ottenere risposte politiche e gestionali risolutive.

L’Unione Europea sta rivedendo le Direttive sui rifiuti: è una occasione da non perdere. Chiediamo alla politica di schierarsi contro l’invasione della plastica, eliminando gli imballaggi usa-e-getta e adottando misure che risolvano il problema alla fonte. Greenpeace promuove in questi giorni una lettera per il ministro dell’Ambiente Galletti a cui tutti possiamo contribuire (vedi la petizione) chiedendo di garantire che la revisione delle norme UE consenta agli Stati Membri di ridurre al minimo la produzione di plastica seguendo il principio delle 3R: Riduci, Riusa… e poi Ricicla!

 

microplastiche nel Mediterraneo
(Foto di Sergio Maggio ISMAR-CNR)

 

Come ricercatori del CNR siamo da anni impegnati in diversi progetti Europei su questa tematica studiando la diffusione (monitoraggio delle macro e microplastiche) e l’impatto sull’ecosistema marino di questo inquinante emergente. Gli sforzi della ricerca CNR sono dedicati soprattutto a verificare gli effetti sulla catena trofica, le interazioni di questi micro-materiali con i contaminanti classici e i potenziali rischi per l’alimentazione umana.

Per il momento, nonostante la diffusione globale delle microplastiche, per quanto riguarda il potenziale trasferimento dai pesci e molluschi di cui ci cibiamo non esistono ancora serie evidenze di rischio, ma il ruolo della ricerca deve essere quello di prevedere l’inaspettato e per questo motivo la nostra preoccupazione e rivolta ai processi chimici, fisici e biologici che in mare trasformano e degradano i polimeri plastici in frammenti sempre più piccoli.

Quando la maggior parte delle microplastiche diventeranno nanoplastiche (un milione di volte più piccole del millimetro) allora il problema potrebbe diventare decisamente più serio anche per la nostra specie. Le microplastiche non riescono ad attraversare le membrane biologiche e rimangono confinate nei dotti intestinali dei pesci che le ingeriscono, ma se la tendenza all’infinitamente piccolo non verrà fermata allora le “nanoplastiche” potrebbero invadere anche i tessuti edibili con conseguenze ancora ignote.

Chi di plastica ferisce, di micro e nanoplastica perisce.

 

di Marco Faimali – Istituto di Scienze Marine – CNR

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