Ad ogni lavaggio, gli indumenti in microfibra perdono in media 1,7 grammi di frammenti. Di questi il 40% va a inquinare fiumi, laghi, mari e mette a rischio anche gli animali
(Rinnovabili.it) – La fonte di inquinamento delle acque più diffusa – e preoccupante – dipende dalla centrifuga della nostra lavatrice. Uno studio dell’Università della California appena pubblicato assegna alle microfibre che si staccano dai vestiti ad ogni lavaggio il primo posto nella lista degli inquinanti marini. Da qui deriva non solo l’avvelenamento di fiumi e mari, ma anche il rischio concreto di mettere a repentaglio animali non solo acquatici.
Tutto inizia dalle prove raccolte dalla ricercatrice Sherri Mason nei pesci dei Grandi Laghi al confine tra Stati Uniti e Canada: i loro corpi sono pieni di microfibre sintetiche, minuscoli frammenti che si staccano dai vestiti. Lo stesso vale per le zone costiere. Mason si è allora chiesta da dove potesse provenire una quantità così grande di filamenti tossici. E la risposta è la lavatrice.
In media, si legge nella ricerca, un giubbotto in tessuto sintetico perde 1,7 grammi di microfibre ad ogni lavaggio. Se è nuovo, perché se invece ha i suoi anni il dato raddoppia. Dalla lavatrice, questi frammenti vengono scaricati insieme all’acqua negli impianti di trattamento. Solo una parte viene effettivamente trattenuta: il 40% finisce in fiumi, laghi, oceani.
Queste microfibre sintetiche sono particolarmente pericolose in quanto hanno il potenziale di avvelenare tutta la fauna di un ecosistema, l’intera catena alimentare. Le dimensioni microscopiche favoriscono l’ingestione da parte dei pesci. Il rischio è amplificato dalla loro capacità di bioaccumularsi negli organismi, quindi di concentrare una quantità sempre maggiore di tossine nei corpi degli animali ai livelli superiori della catena alimentare.
A sua volta, la bioaccumulazione spalanca prospettive decisamente inquietanti visto che le microfibre plastiche assorbono molecole e sostanze inquinanti persistenti e ad elevatissima tossicità, come ad esempio i policlorobifenili (PCB), che si vanno poi a concentrare nei tessuti organici.
I risultati di questa ricerca devono far riflettere anche su alcune pratiche considerate finora pienamente sostenibili. È il caso della stessa azienda che ha sovvenzionato lo studio di Mason, Patagonia. Per ridurre la sua impronta ecologica, la compagnia ricicla bottiglie di plastica – triturandole – per ricavarne microfibra per gli indumenti sportivi che commercializza. Ma secondo questa ricerca, quella stessa plastica avrebbe inquinato di meno sotto forma di bottiglia.