(Rinnovabili.it) – I gas serra prodotti dagli allevamenti di bestiame rappresentano una delle maggiori fonti di inquinamento a livello mondiale, andando a rappresentare circa il 10% di quanto prodotto a livello globale. Uno studio dell’Università di Siena condotto esaminando su 237 nazioni, dal 1961 al 2010, evidenzia che le emissioni sono aumentate del 51%, e sono ancora in crescita.
Le emissioni di metano, prodotte dai microorganismi coinvolti nella digestione animale e dalla decomposizione del letame, derivano soprattutto da 11 tipi di bestiame, main particolar modo dai bovini (74%), come evidenziato dal dottor Dario Caro e dal professor Simone Bastianoni del gruppo di Ecodinamica dell’Università di Siena, in collaborazione con i professori Ken Caldeira (Stanford University) e Steven Davis (Università della California).
Aumentando la domanda di mercato di prodotti derivanti dal bestiame, come carne, latte e uova si prevede per il 2050 anche la crescita delle emissioni, con grandi differenze tra i paesi in via di sviluppo, ritenuti i maggiori responsabili del rilascio di metano, e i paesi sviluppati che invece stanno provvedendo a gestire correttamente gli allevamenti limitando i danni ambientali.
“L’anidride carbonica rilasciata dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione rappresenta la porzione più ampia dei gas serra che hanno effetto sul cambiamento climatico – spiega il dottor Caro dell’Università di Siena – tuttavia, metano e protossido di azoto, le sostanze prodotte dal bestiame, rappresentano circa il 28% del contributo al riscaldamento globale”. Se da una parte il processo di sviluppo mondiale sta portando ad una riduzione delle emissioni causate da un singolo animale, dall’altra c’è un forte aumento della richiesta di carne e altri prodotti derivanti dal bestiame. Come risultato, queste emissioni di gas continuano ad aumentare vertiginosamente sul nostro pianeta”.
Tra le specie che maggiormente contribuiscono al cambiamento climatico, si legge nello studio, i bovini rappresentano il 74% delle emissioni, le pecore contribuiscono per il 9%, i bufali il 7%, i maiali il 5% e le capre il 4%.
“Possiamo riassumere così: mangiare tanta carne contribuisce al cambiamento climatico – dice il professor Bastianoni -. Da un punto di vista ambientale, sarebbe meglio che la popolazione umana seguisse di più l’esempio della dieta mediterranea, ricca di carboidrati e verdura, limitando l’uso della carne. Un miglioramento si avrebbe comunque anche dal preferire carni di maiale e pollo al posto di quelle di vitello” conclude Bastianoni.