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Mercurio: 7 anni di negoziati per bandirlo mentre le miniere aumentano

PORGERA, PAPUA NEW GUINEA HIGHLANDS, NOVEMBER 2010: Illegal gold miners prospect at the site of tailing outlet pipe in heavy metal laden waters on the outskirts of the Porgera Joint Venture Mine, Papua New Guinea, Porgera, Papua New Guinea, 17 November 2010. These empoverished people engage in illegal mining on the dumps and tailings outflow areas of the mine in order to survive. Many of these local people sold their land to the mine for a period of the operational life of the mine. They underestimated how long the mine would keep going and the expansion thereof. The Mine dumps now flow onto the last viable land of these local people and they illegally mine those dumps to eke out a living. The ability to grow vegetable gardens is very limited and there is no hunting anymore. There are regular clashes between these illegal miners and the Porgera Joint Venture mine security force. That security force has regularly beaten, detained and handed these miners over to the police. When the illegal female miners are caught they are often offered a choice of rape or jail. There are a number of reported incidents of gang rape, with the victims too scared to file charges in court. The mine finances both its own security force of ex policeman and military as well as the local PNG government police who they have brought to the area. The environmental damage caused by the Porega Mine is a major threat to this landscape and the wellbeing of the local people who have lived in harmony with their environment for centuries. The Porgera Joint Venture Mine dumps 6.2 million tons of tailings sediment into the local river system every year. Close to the mine the waters are red from these tailings and it is feared that long term damage of the river system is inevitable. (Photo by Brent Stirton/Reportage for Human Rights Watch.)

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(Foto di Brent Stirton/Reportage for Human Rights Watch.)

 

Lotta al mercurio: dal disastro giapponese alla COP1 di Ginevra

(Rinnovabili.it) – Lo scorso 16 agosto è entrata in vigore la Convenzione di Minamata sul mercurio, l’accordo internazionale con cui 140 Paesi hanno definito nel 2013 le misure per proteggere la salute umana e l’ambiente da questo elemento e i suoi composti. Un importante traguardo sulla carta, che tuttavia sbiadisce alla luce del sole, sia per la completa inefficienza dell’atto che per un’industria poco disposta a mollare l’osso. Punti deboli che, malgrado l’entusiasmo dei delegati, sono inevitabilmente emersi durante la prima Conferenza delle Parti (COP1) sulla Convenzione, tenutasi la scorsa settimana a Ginevra.

 

Uno degli elementi che fa più discutere è la struttura stessa dell’accordo.

La Convenzione di Minamata sul mercurio è nata nel 2013 dopo tre anni di intensi negoziati, ma si è dovuto aspettare il 2017 prima di ottenere la ratifica di almeno il 50 per cento delle Parti, necessaria all’entrata in vigore. Il patto prende il nome dalla città giapponese che per ben 36 anni fu avvelenata dagli scarichi tossici del gruppo chimico Chisso Corpoation: dal 1932 al 1968 la compagnia sversò nella baia cittadina acque contaminate dal mercurio che finì dapprima nei organismi marini, quindi nella catena alimentare umana. Il bilancio delle vittime, quelle riconosciute, fu ed è tuttora altissimo.

 

Questo ed altri episodi hanno richiamato l’attenzione pubblica sull’argomento, ma nonostante gli sforzi profusi dalle Nazioni Unite i 35 articoli della Convenzione si limitano ad indicare una via più che renderla obbligatoria.

 

 

Cosa dice la Convenzione di Minamata sul mercurio

Il documento ha di buono l’aver riconosciuto per la prima volta a livello globale i pericoli legati all’inquinamento da mercurio fornendo un quadro normativo internazionale per la protezione di salute e ambiente. All’atto pratico mira a ridurre progressivamente la domanda di questo metallo, impostando una serie di misure, quali

 

  1. vietare la costituzione di nuove miniere, chiudendo progressivamente quelle esistenti;
  2. ridurre l’uso, le emissioni e il rilascio di mercurio proveniente dall’estrazione dell’oro entro il 2032;
  3. limitare entro il 2020 il commercio e proibire la produzione, l’importazione e l’esportazione di mercurio e di un’ampia gamma di prodotti con aggiunta di mercurio, quali batterie o lampade (con alcune eccezioni e deroghe);
  4. controllare e ridurre le emissioni atmosferiche e le dispersioni in suolo ed acqua;
  5. garantire lo stoccaggio più sicuro e la corretta gestione dei rifiuti di mercurio.

 

Di contro, il trattato non prevede né un sistema di controlli affidabile né obblighi di decontaminazione e risarcimento vittime nelle zone inquinate. Né applica multe e sanzioni a chi non dovesse rispettare gli obiettivi.

 

 

Le miniere di mercurio continuano a crescere

Nel frattempo, fa sapere il Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), l’attività mineraria del mercurio è aumentata notevolmente. Nel report Global Mercury Supply, Trade and Demand, l’UNEP denuncia come parte del commercio prenda vie secondarie, uscendo fuori dai dati ufficialo. Ad esempio, secondo le statistiche governative “il Kenya non ha registrato alcuna esportazione durante il periodo 2010-15″, eppure la quasi totalità di miniere d’oro in Tanzania, Uganda e Repubblica democratica del Congo ha ottenuto, in quegli anni, il mercurio necessario alla sua attività principalmente da Nairobi.

 

Negli ultimi cinque anni, inoltre, si è assistito ad un vero e proprio boom di piccoli produttori di mercurio in Messico e in Indonesia, che ha peggiorato una situazione difficile. Questi due paesi insieme producono annualmente circa 1.000 tonnellate del metallo
Ed è la stessa relazione ONU ad ammettere quanto possa essere difficile estirpare attività di questa natura e disturbare la struttura sociale che vi cresce intorno, quando le comunità locali si abituano ai benefici economici che esse portano.

>>Leggi anche Le emissioni di mercurio crollano se non si brucia il carbone<<

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