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Le mega dighe stanno martoriando la biodiversità

Le mega dighe stanno martoriando la biodiversità

 

(Rinnovabili.it) – Sono considerati i giganti storici dell’energia pulita e costituisco, per ora, la porzione più cospicua del mix rinnovabile che dovrebbe liberarci dalla schiavitù del fossile. Eppure le dighe idroelettriche non fanno sempre rima con sostenibilità. Al contrario, quando i progetti sono accompagnati dal suffisso MEGA gli effetti che producono sono disastrosi sia dal punto di vista ambientale che da quello umano.

 

Di spostamenti forzati, allagamenti, deforestazione, danni alla fauna sono pieni gli allarmi delle ong ambientaliste, del mondo scientifico e delle comunità locali. Si pensi alla Diga sul Dibang, in India, la cui realizzazione oggi in corso, porterà alla scomparsa 50 chilometri quadrati di foresta. O alla più celebre diga di Belo Monte, in Brasile le cui contestazioni ormai trentennali delle tribù locali sono crollate sotto il peso della corruzione e dei ripetuti abusi: il suo completamento coinciderà con l’inondazione di oltre 400 chilometri quadrati di foresta amazzonica, mettendo a rischio la biodiversità della zona e la sopravvivenza degli oltre 6000 autoctoni che dipendono dalle sue risorse.

 

E per alcune specie è già troppo tardi, anche quando nel progetto vengono inserite le isole serbatoio, porzioni delle terre sommerse (ex colline) circondate dall’acque del bacino e convertite in santuari naturali. Un nuovo studio ha infatti scoperto che queste aree, impiegate come strumento di riduzione dell’impatto ambientale, non sono in grado di mantenere gli stessi livelli di animali e piante precedenti alla realizzazione della diga.

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La ricercatrice Isabel Jones, dell’Università britannica di Stirling, mette in relazione gli effetti della costruzione di oltre 200 bacini idroelettrici a livello mondiale con i cambiamenti sostanziali nelle popolazioni di uccelli, mammiferi, anfibi, rettili, invertebrati di quelle stesse aree. Nell’indagine sono rientrati mega impianti idroelettrici come quello brasiliano di Balbina e quello cinese di Thousand Island Lake. Il risultato è pressoché lo stesso: “Abbiamo rinvenuto una riduzione devastante delle specie, nel corso del tempo, nella maggior parte delle isole serbatoio che abbiamo studiato. In media, le isole hanno un numero di specie che è il 35 per cento i meno rispetto ai siti sulla terraferma”. Per qualcuno la percentuale di scomparsa si alza fino oltre l’87%.

 

Più lungo è il tempo di isolamento, più l’isola serbatoio diminuisce la sua ricchezza di biodiversità, e anche se il tasso di perdita è più lento nelle riserve più grandi, tutte – sottolinea lo studio – mostrano una perdita nel tempo. Riprova che questo sistema non può essere impiegato in maniera affidabile per la conservazione della specie, come parte delle misure di mitigazione dell’impatto ambientale. “Sapevamo che le isole serbatoio provocassero un’immediata perdita di habitat per alcune specie, ma ora abbiamo anche scoperto che esiste un costo biologico futuro significativo pagato come ‘debito di estinzione’”.

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