La compagnia chiede al Dipartimento degli Affari Interni di prorogare le licenze di esplorazione per il petrolio in Artico per i troppi ritardi
«A dispetto dei nostri grandi sforzi e della nostra provata alacrità, circostanze fuori dal controllo di Shell hanno impedito, e continuano a impedire all’azienda di portare a termine anche il primo pozzo esplorativo». Sono le parole di Peter Slaiby, vice presidente di Shell Alaska, scritte all’ufficio regionale del Bureau of Safety and Environmental Enforcement. Che ha risposto di essere ancora al vaglio della richiesta. Anche perché Shell non è stata rallentata da eventi fuori dal suo controllo, ma ha fatto dei passi falsi. Come nel gennaio 2013, quando una delle sue piattaforme è andata alla deriva, per poi incagliarsi sulle coste di un’isola disabitata.
I piani della multinazionale per le esplorazioni in Artico comprendono una piattaforma per la trivellazione e un sistema di contenimento delle perdite. La compagnia però è stata denunciata da gruppi ambientalisti contrari alla ricerca di petrolio in quelle zone. Ritengono che le difficili condizioni in cui avvengono le operazioni, non consente di svolgerle con la necessaria cura e, soprattutto, in sicurezza. Ora si attende il verdetto della corte, con un dubbio in più: se Shell non ha trovato niente fino ad oggi, ma anzi ha subito parecchi contrattempi e ha rischiato un gravissimo incidente, sarà proprio il caso di prorogarle le licenze?