La Nature Restoration Law passa con 329 sì e 275 no
(Rinnovabili.it) – Appena 54 voti di scarto danno l’ok definitivo alla legge sul Ripristino della Natura. Il parlamento europeo ha confermato stamattina l’accordo informale con il Consiglio su uno dei provvedimenti più contestati del Green Deal con 329 sì, 275 no e 24 astenuti. Il passaggio avrebbe dovuto essere quasi una formalità, ma i mal di pancia all’interno del PPE hanno tenuto in bilico l’esito della votazione fino all’ultimo.
Cosa prevede la legge sul Ripristino della Natura
La nuova legge fissa l’obiettivo UE di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime entro il 2030, e il 100% degli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. In concreto, ciascun paese dovrà ripristinare gli habitat coperti dalla legge sul Ripristino della Natura, cioè foreste, praterie, zone umide, fiumi, laghi e fondali corallini. Con degli obiettivi intermedi. Entro il 2030 almeno il 30% di quelli oggi catalogati come in stato di degrado dovranno passare a uno stato di conservazione buono. La percentuale dovrà poi salire al 60% entro il 2040 e al 90% entro il 2050.
La priorità dovrà essere data alle aree coperte dai siti Natura 2000 fino al 2030. Una volta raggiunto lo stato di conservazione buono, i Ventisette dovranno assicurarsi che non si verifichino nuovi degradi degli habitat. E per farlo, dovranno elaborare dei piani nazionali dettagliati da presentare alla Commissione.
I punti deboli della Nature Restoration Law
Se l’impianto generale della legge sul Ripristino della Natura resta solido, nella sostanza i vari passaggi legislativi hanno indebolito molto l’efficacia delle misure previste. La battaglia si è svolta soprattutto al PE dove i popolari hanno guidato l’opposizione al provvedimento, presentandola come un tentativo di tutelare agricoltori ed economia dall’attacco di una legge “ideologica”. Nell’iter sono stati così indeboliti i criteri con cui valutare sia lo stato di degrado sia i progressi nel ripristino.
Ed è stato introdotto il cosiddetto “freno d’emergenza”, cioè la possibilità per gli stati di andare in deroga agli obblighi di conservazione in “circostanze eccezionali” se riducono la terra necessaria per una produzione alimentare sufficiente per il consumo UE. Un cavallo di Troia con cui l’agribusiness potrà tornare alla carica, come già fatto con le deroghe alla PAC (la politica agricola comune), per smontare dall’interno la legge.
Il no del PPE
Tensioni, quelle che hanno accompagnato l’iter legislativo, che sono emerse ancora una volta in aula stamattina. Il PPE ha deciso di votare no, sconfessando quindi l’accordo raggiunto con il Consiglio. E provando ancora una volta a tessere un’alleanza con i gruppi di destra e estrema destra. Il tentativo è fallito ma è rivelatore delle posizioni che i popolari sono disposti a tollerare da parte della prossima Commissione europea, che si insedierà dopo le elezioni di giugno. Commissione a cui il PPE ha da poco candidato, ufficialmente, la stessa Ursula von der Leyen che ha fatto del Green Deal la sua misura di bandiera.
“Il Gruppo PPE continua a nutrire serie preoccupazioni riguardo alla legge sul ripristino della natura. Non vogliamo nuove e maggiori forme di burocrazia e obblighi di rendicontazione per gli agricoltori. Lasciamo che gli agricoltori coltivino”, ha spiegato l’eurodeputato Siegfried Mureșan, vicepresidente del gruppo PPE.
“Apprezziamo”, continua il portavoce della posizione del PPE, che la versione rivista della legge sul Ripristino della Natura “somigli poco alla proposta originaria della Commissione” che era “ideologicamente motivata, praticamente irrealizzabile e un disastro per gli agricoltori, i proprietari forestali, i pescatori e le autorità locali”. Ma per il PPE si sarebbe dovuto ripartire da capo – cioè con la nuova Commissione a proporre un testo di partenza per i negoziati: “Il testo rivisto è ora migliore. Ma è ancora meglio ripartire da zero e mettere al primo posto gli interessi degli agricoltori”, ha concluso Mureșan.