(Rinnovabili.it) – Vogliamo provare a essere cautamente ottimisti? Ogni tanto i rapporti presentano dati che fanno ben sperare, come nel caso di Ecomafia 2017 – Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, curato dall’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente con il supporto di Cobat (Consorzio nazionale raccolta e riciclo) e Novamont (azienda chimica produttrice, tra l’altro, di bioplastiche).
La legge 68/2015 – “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, che inserito nel codice penale i diritti ambientali – funziona e tutela non più un diritto personale, bensì collettivo: in sostanza dimostra che l’ambiente da oggetto diventa soggetto, è un bene comune che tutti sono tenuti a rispettare.
Non che sia tutto rose e fiori: nel 2016 i reati ambientali accertati in Italia sono stati 25.889 (71 al giorno, più o meno 3 ogni ora). Però sono aumentati del 20% gli arresti e sono diminuiti del 7% gli illeciti, come dire che qualcosa si sta muovendo, si sta cominciando a ridurre il fatturato delle attività illegali dell’ecomafia e si sta facendo finalmente un passo avanti nel contrasto ai “ladri di futuro”. Perché nel caso degli ecoreati esattamente di questo si tratta: un danno contro l’ambiente non si esaurisce nel qui e ora, ma avrà ripercussioni di lungo periodo.
La geografia dei reati è ben nota da tempo: la classifica è guidata come di consueto da Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Le città con la maglia nera sono Napoli, Salerno, Roma, Cosenza e Palermo.
Un altro dato è certo: l’illegalità rende bene, dal momento che il business dell’ecomafia vale circa 13 miliardi di euro. È importantissimo formare le forze dell’ordine, i tecnici delle Arpa (Agenzie per la protezione dell’ambiente) e la magistratura sulla nuova legislazione penale in campo ambientale, affinché non ci sia spazio di manovra per l’ecomafia, che dimostra di avere sempre grande fantasia nell’inventare nuovi illeciti con relative scappatoie.
La crescente presa di coscienza dei singoli cittadini e delle imprese può fare la differenza: essi possono costituire gli anticorpi contro un male che esiste, ma che si può curare. Rossella Muroni – presidente nazionale di Legambiente – cita un esempio per tutti, gli scheletri delle costruzioni abusive: abbatterli dimostra che lo Stato non solo c’è, ma agisce e si prende il suo spazio. A chi sostiente che la mafia sia “efficiente”, lo Stato deve dare una risposta ferma e tempestiva, deve far sentire la sua presenza: innanzi tutto con l’approvazione delle leggi (quella sul consumo del suolo, ad esempio, è ferma al Senato), poi semplificando normative farraginose ed elefantiache che sembrano fatte apposta per creare la confusione in cui prospera l’illegalità, infine premiando le imprese sane che investono in economia circolare.
Il primo segno del cambiamento della società l’ha evidenziato Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati. Fino a qualche anno fa chi si occupava di ambiente sembrava un personaggio alquanto bizzarro, l’illegalità cresceva indisturbata sotto gli occhi di tutti, magistrati e forze dell’ordine non se ne occupavano. Oggi sembra che stia spirando un vento nuovo: non solo cresce la consapevolezza del problema, ma cresce la volontà di affrontarlo in modo diverso e di risolverlo. Si sta affermando con sempre maggiore forza il principio che con il green si guadagna, che la legalità verde è il business del futuro. In Italia viene prodotto il 60% dei cosmetici mondiali e i prodotti per la cura del corpo contengono derivati del petrolio, fortemente inquinanti: approvare una legge che metta al bando le microplastiche non salverebbe solo l’ambiente, ma contemporaneamente renderebbe l’Italia leader del settore. Prendiamo poi l’esempio dell’edilizia: anziché continuare con gli abusi, grazie agli ecobonus e al credito d’imposta sta decollando l’idea del recupero, del restauro, della prevenzione, dell’adeguamento termico e antisismico. Con un ulteriore vantaggio: stroncare l’economia in nero.
Il rapporto Ecomafia 2017 entra nel vivo dei molti focolai di abusi e di illegalità: dal saccheggio ambientale all’edilizia selvaggia, dall’archeomafia al traffico di rifiuti al business degli animali da reddito. Quello che colpisce è che l’accanimento si materializza proprio nelle aree di maggior pregio naturalistico e paesaggistico: le splendide coste di Puglia, Sicilia e Calabria sono cementificate da immobili fuori legge (secondo le stime del Cresme, solo nel 2016 ne sono sorti circa 17.000) che oltre a deturpare il paesaggio ignorano le più elementari norme di sicurezza. Qualche cifra, tanto per avere l’idea delle dimensioni degli abusi: le costruzioni lungo la costa sono più di 700/Kmq in Puglia e Sicilia, 600 in Calabria, 232 in Veneto, 308 in Friuli Venezia Giulia, 300 in Toscana, Basilicata e Sardegna.
Puntiamo ora l’attenzione su qualcosa che ci vede tutti coinvolti: i sacchetti della spesa. Gli shopper fintamente biodegradabili e compostabili sono tra i principali responsabili dell’inquinamento di mare, fiumi e laghi: il 96% dei rifiuti galleggianti in mare sono plastiche che soffocano le forme di vita marine. Dal monitoraggio effettuato emerge che circa il 54% dei sacchetti non è conforme alla legge: nessuno è immune, la grande distribuzione come i mercati rionali. Questo significa che vengono immesse nell’ambiente circa 40.000 tonnellate di plastica che si traducono in 50 milioni di danni ambientali, 30 milioni di evasione fiscale e 160 milioni di perdita per il mercato legale. Gli shopper illegali sono diventati addirittura una forma di pizzo, cioè i commercianti sono obbligati ad acquistarli.
Da un punto di vista concretamente operativo, Legambiente propone tra l’altro, di completare la definizione dei decreti attuativi che rendano operativa la legge che ha riformato il sistema nazionale delle Arpa; di approvare una legge che semplifichi l’iter di abbattimento delle costruzioni abusive; di approvare in tempi rapidi il disegno di legge sui delitti contro flora e fauna protette (importante anche in materia di incendi dolosi).
Bisogna far passare il messaggio che le battaglie non solo si fanno, ma si vincono, quando si alleano le forze politiche, civili e ambientali, i singoli cittadini. La politica, con i suoi ritardi, ostacola la nascita e la crescita delle imprese sane, e diventa anche complice inconsapevole dell’illegalità che dovrebbe contrastare in modo più tempestivo. I contorni del problema non sono così netti: la corruzione diffusa è uno dei più grossi pericoli della convivenza civile. Sodalizi criminali, corruzione e riciclaggio costituiscono quel “triangolo maledetto” – come l’ha definito Roberto Pennisi della Direzione Nazionale Antimafia – che inquina la legalità in Italia. La “maturazione” del cittadino, da tante parti evocata, non può che ricondurre all’idea di un’educazione alla legalità che deve trovare adeguato spazio a cominciare dalle scuole, dove far crescere la consapevolezza che la vittima dell’illegalità è tutta la società.